Agricoltura e virus, riflessioni e speranze

Viviamo in tempi duri, su questo non vi è alcun dubbio. L’incertezza la fa da padrona, del Coronavirus e delle sue conseguenze, prossime e future, ad oggi sappiamo tutto e niente. Tuttavia, magicamente e allo stesso tempo drammaticamente, stiamo sfruttando questa pausa di riflessione con la realtà per rivalutare alcune cose. Tra impasti, ricette, delivery e chi più ne ha più ne metta, spunta negli ultimi giorni il tema agricoltura.

Pillole di storia dell’ agricoltura

Storicamente è il settore che più ha risentito dei cambiamenti degli ultimi tre secoli: dalla rivoluzione industriale, all’emigrazione dalla campagna alla città con conseguente urbanizzazione, fino al capitalismo finanziario dei nostri giorni. Già nel 1960, in Italia, il settore primario, dove rientrano anche altre attività oltre l’agricoltura, valeva il 4,6% del PIL, mentre nel 2019 solo il 2,2%. Per di più, l’avanzamento tecnologico e scientifico ha stravolto e travolto le coltivazioni e tutti i prodotti che ne derivano; vedi il tragico aumento delle patologie legate all’alimentazione. Per non parlare del cambiamento climatico che sta mutando i periodi di raccolta. Fortunatamente però, negli ultimi anni i riflettori sul comparto agricolo si sono accessi: coltivazioni biologiche o addirittura biodinamiche, sostenibilità e tutela ambientale, prodotti di nicchia legati a doppio nodo al territorio, filiera corta; inoltre, molti giovani ricominciano a vedere nel settore un’ opportunità, grazie anche al fatto che i consumatori sono più propensi a spendere di più per un prodotto più sano.

Cambiamenti, positivi e non, dovuti al Coronavirus

In questi giorni difficili, il processo di rivalutazione dell’ agricoltura ha subito  un’accelerata. In primo luogo grazie ai piccoli commercianti che trattano prodotti genuini,  il famoso negozietto sotto casa per intenderci che spesso viene preferito alle interminabili code dei supermercati. Grande slancio anche per i mercati contadini all’aperto, quindi con minor rischio di contagio, dove è possibile acquistare direttamente dal produttore di zona. Inoltre, molti  agricoltori e negozianti hanno iniziato a portare la spesa direttamente nelle case, il famigerato delivery. Un’ottima soluzione visto il momento, tanto che si inizia a parlarne come il futuro non solo del commercio, ma anche della ristorazione. Di necessità virtù, ma siamo proprio sicuri che sia la scelta giusta quando torneremo alla vita di tutti giorni?

Il lavoro nei campi, per ora, non ha subito grandi cambiamenti, specialmente per quanto riguarda le aziende a conduzione familiare. Tuttavia, si prospettano gravi problemi per il periodo dei raccolti durante il quale molte imprese si avvalgono di braccianti stagionali spesso provenienti dall’estero (fin qui tutto bene), spesso extracomunitari irregolari, spesso sfruttati e sottopagati. Situazioni mai state sostenibili,  ma la cui assenza, paradossalmente, può causare ingenti danni a tutti i settori (ne parleremo meglio nel prossimo articolo).

Le parole dei contadini

Raccogliendo i pensieri di alcune aziende a conduzione familiare della zona dei Castelli Romani, si riscontra un’ opinione comune. La limitazione degli spostamenti, con la conseguente crisi che ne deriva, mette in luce ancora di più l’importanza dell’agricoltura locale per il sostentamento. Lo stesso lavoro nei campi, in un periodo di reclusione domestica, può essere rivalutato. La speranza è che, sconfitto il Covid-19, si riparta proprio da questo: dalle piccole-medio imprese etiche e sostenibili che vanno tutelate; dalla nascita di nuove realtà grazie a fondi statali e comunitari più snelli e accessibili, dal recupero dei terreni abbandonati con agevolazioni per i giovani che si affacciano a questo mondo. Da una burocrazia semplificata e da un sistema politico che finalmente si occupi dei gravi problemi del settore: il caporalato, il sottocosto della manodopera, le coltivazioni intensive, i terreni bombardati dalla chimica, i pomodori che non sanno più di nulla e le fragole tutto l’anno.