Dal 14 gennaio è entrato in vigore il Decreto attuativo (D.lgs. 8 novembre 2021, n. 196) che prevede le prescrizioni contro la plastica monouso.
La data è importante, perché la nuova normativa è un emblema di quel nuovo modello di economia circolare che l’Europa ha scelto di perseguire nella ripresa dopo la crisi pandemica. Ma anche perché la plastica è nascosta in decine delle nostre abitudini quotidiane.
Rispetto a quanto previsto dalla direttiva UE, il recepimento italiano prevede che possano essere immessi in commercio prodotti monouso realizzati in materiale biodegradabile e compostabile, purché certificati conformi allo standard europeo UNI EN 13432 (se sono imballaggi) o UNI EN 14995 (se sono altri manufatti in plastica).
Quali prodotti in plastica monouso sono vietati?
È importante sottolineare che le categorie coinvolte riguardano solo la plastica usa e getta, quindi quella non biodegradabile né compostabile. Sarà così vietato utilizzare piatti e bicchieri di plastica; cannucce; contenitori e bicchieri per alimenti e bevande in polistirene espanso utilizzati, usualmente, per il cibo fast food e relativi tappi e coperchi; posate (forchette, coltelli, cucchiai, bacchette); borse di plastica; bastoncini per le orecchie (i cotton fioc), aste per sostegno dei palloncini.
Per ora sono salvi, invece, i prodotti in plastica lavabile e, dunque, riutilizzabili. Nelle ultime settimane, inoltre, stanno comparendo sul mercato prodotti simili a quelli monouso ma “riutilizzabili”. Queste alternative biodegradabili e compostabili devono anche avere percentuali crescenti di materia prima rinnovabile: almeno il 40% da subito e almeno il 60% a partire dal 1° gennaio 2024.
Sì alle soluzioni biodegradabili ma solo in alcuni casi specifici
Il recepimento italiano prevede il ricorso alle soluzioni biodegradabili e compostabili solo in alcuni casi specifici e precisamente: quando l’uso di alternative riutilizzabili non sia possibile; quando l’impiego avvenga in circuiti controllati, con destinazione dei rifiuti alla raccolta differenziata (es. mense, ospedali).
E ancora quando: le alternative riutilizzabili non offrono adeguate garanzie di igiene e sicurezza; nei casi in cui si ha presenza di un elevato numero di persone (es. sagre, fiere…); in tutti i casi in cui le alternative riutilizzabili abbiano un impatto ambientale peggiore delle soluzioni biodegradabili e compostabili (sulla base di analisi del ciclo di vita da parte del produttore).
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Un ulteriore passo avanti in chiave green per l’Italia
Anche l’Italia, dunque, da tempo all’avanguardia nella lotta alla plastica monouso e nel contrastare il marine litter con norme nazionali, come il divieto dei sacchetti di plastica e dei cotton fioc non biodegradabili e non compostabili e il divieto all’uso di microplastiche nei prodotti cosmetici da risciacquo, riprese poi dalla direttiva europea, dice stop all’utilizzo della plastica monouso.
Secondo un rapporto del WWF circa l’80% dei rifiuti rinvenuti nelle spiagge europee è, infatti, costituito da plastica e il 50% dei rifiuti marini da plastiche monouso.
Il decreto che restringe il consumo di quei materiali non in linea con la transizione energetica, che causano l’inquinamento di microplastiche dei nostri mari e che ormai finiscono anche nei nostri cibi, è inspirato al perseguimento della sensibilizzazione dei consumatori ad un consumo responsabile, delle limitazioni e dei divieti di vendita; della responsabilità dei produttori sulla scorta del principio “chi inquina paga” e dell’uso adeguato dei sistemi di smaltimento dei rifiuti.
Il decreto prevede anche sostanziose multe per i trasgressori, che vanno dai 2.500 euro fino a 25 mila. Ma i suoi effetti non saranno così repentini. Per esercenti e produttori, sarà infatti possibile usare le scorte esistenti fino ad esaurimento.