Il mais e la nixtamalizzazione

Avete mai provato a impastare la farina di mais? A meno di aggiungere altri ingredienti è impossibile ottenere un impasto plasmabile che poi non si rompa quando lo lavorate. Ecco perché interviene la nixtamalizzazione.

Se nell’area mediterranea la civiltà agricola è sorta attorno al grano e principalmente al farro, il vero grano dell’antichità, in Mesoamerica, la regione che va dal Messico all’Honduras e il Nicaragua, l’impulso allo sviluppo è stato dato dalla coltivazione del Mais, domesticato a partire dal Teosinte, una pianta che con i suoi pochi e piccoli semi difficilmente riconosceremmo come suo antenato.

Il mais era al centro della civiltà e della cucina Maya e poi di quella Azteca. A differenza del grano però non contiene glutine e quindi non è facilmente impastabile. In Italia infatti la farina di mais, da sola, si usa quasi esclusivamente per preparare la polenta, e sapete bene come questa non si riesca a modellare. Eppure in Messico e Centro America vi sono centinaia di piatti tradizionali prodotti da farina di mais che invece si riesce a lavorare e da cui si producono tortillas, arepas, tamales, tacos e molto altro. La differenza sta tutta nel trattamento che ha subito il mais: la nixtamalizzazione.

Partiamo dagli inizi…

Negli Stati Uniti la gente consuma una grande quantità di mais grazie alla sua importanza come mangime per animali, sia da latte che da carne, alla sua preponderanza come ingrediente frammentato nell’industria alimentare, e al suo uso come combustibile. Nel suo contesto indigeno, il mais è stato utilizzato in diversi modi, e storicamente era il prodotto agricolo principale della Americhe prima dell’arrivo degli europei. Da millenni coltivatori e conoscitori di mais, le popolazioni del centro America sapevano che il mais nasconde delle proprietà nutrienti potenziali che il nostro organismo non assimila se prima non si procede con un trattamento che trasforma il cereale, la nixtamalizzazione.

Cos’è la nixtamalizzazione del mais.

I tamales e la maggior parte degli altri prodotti messicani e di mais vengono preparati impiegando questo processo. Nei mercati messicani la farina di mais nixtamalizzato è chiamata masa. Il nixtamal (o masa) è infatti una pasta di mais, ottenuta dalla bollitura dei chicchi di mais con la calce. L’idrossido di calcio in essa contenuto serve dunque alla trasformazione del cereale in ambiente alcalino. Il termine nixtamal deriva da “nextli” (cenere) e “tamalli” (pasta di mais).

Il processo di nixtamalizzazione è semplice: prevede la bollitura della granella di mais in una soluzione alcalina composta da acqua e calce (idrossido di calcio) nella proporzione di 3 a 1, un tempo variabile di riposo ed un accurato lavaggio per eliminare i residui di calce e di successive fermentazioni (variabili in base al prodotto che si intende realizzare). A questo punto il mais (nixtamal) è pronto per la macinazione: in alcune zone rurali del Centro America questo processo viene tuttora realizzato a mano, mentre a livello globale la maggior parte di questi passaggi e la relativa macinazione vengono affidati a specifiche macchinari.

Questo processo di alcalinizzazione non solo permette di rimuovere la pelle esterna del chicco ma anche di modificare il colore e il sapore del mais, migliorandone molto le qualità nutritive.

Il mais nixtamalizzato è talmente superiore al tipo non sottoposto a questo trattamento da indurci a considerare l’ascesa della civiltà centro-americana una conseguenza di questa invenzione. Uno dei principali benefici del processo di nixtamalizzazione è offrire all’organismo la possibilità di assorbire una serie di nutrienti (minerali e vitamine) rilasciati dall’amido del chicco durante il trattamento alcalino, rendendoli immediatamente biodisponibili.

La nixtamalizzazione del mais nel tempo

Il processo di nixtamalizzazione è pertanto fondamentale, anche a livello storico: quando infatti il mais fu importato in Europa si diffuse un’epidemia di pellagra, malattia causata dall’assenza di niacina (vitamina B3) proprio perché durante la lavorazione del chicco non fu adottato il processo di nixtamalizzazione. In effetti qualcosa non tornava, le popolazioni mesoamericane non hanno mai sofferto di questa malattia pur alimentandosi quasi esclusivamente con mais. E in più il contenuto di vitamina PP nel mais non era affatto trascurabile. Fu solo nel 1983 che Kenneth Carpenter fece notare come la niacina del mais non fosse assorbibile dal nostro corpo perché legata all’amido del chicco. Il trattamento alcalino con la calce, tipico delle popolazioni mesoamericane, ha il pregio di liberare la vitamina PP e renderla disponibile per essere assorbita dal nostro corpo.

Il Mais e il calcio

Un altro beneficio del trattamento alcalino riguarda il calcio. Nella procedura tradizionale il calcio non viene eliminato totalmente dai lavaggi; un po’ rimane nel mais aumentandone la concentrazione di circa 20 volte. Ancora oggi in Messico il consumo di tortillas è di 120 kg per persona per anno, e contribuiscono al 39% dell’apporto proteico, al 45% di calorie e al 50% di apporto giornaliero di calcio, diventando così una fonte importante di questo elemento per chi si nutre quasi esclusivamente di mais.

In cucina siamo più abituati a trattare con le sostanze acide che con quelle alcaline. Usiamo ogni tanto il bicarbonato, specialmente in pasticceria, che è solo debolmente alcalino, o la cosiddetta “ammoniaca per dolci”, ma tranne l’albume praticamente tutti gli alimenti sono acidi. Esistono però altri casi, oltre al mais, di trattamenti tradizionali che sfruttano delle basi forti (il nome che i chimici danno alle sostanze fortemente alcaline come la calce).

Avete mai mangiato dei pretzel? Beh, il colore bruno scuro esterno è dovuto a un bagno in idrossido di sodio (“soda caustica” ma per uso alimentare, o NaOH, indicato in etichetta come E524) immediatamente prima della cottura. Mentre la calce (o come abbiamo detto, l’idrossido di Calcio E526) si usa in alcuni trattamenti per eliminare l’amaro dalle olive. Anche in questo caso dei lavaggi eliminano i residui di calcio.

Siete appassionati di cucina cinese e giapponese? Beh, gli spaghetti usati per esempio per il ramen hanno nell’impasto del carbonato di sodio o di potassio, sostanze più alcaline del bicarbonato che abbiamo tutti in casa. Anche il cacao in polvere ha spesso subito un trattamento alcalino per migliorarne la solubilità in acqua: il cosiddetto “processo olandese” inventato dal chimico Coenraad van Houten. Trattamento che lo rende anche più rossiccio.

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