Gatorade, i miracolosi poteri del “succo di alligatore”

Scopriamo la storia della bevanda Gatorade, inventata da un medico nefrologo dell’Università della Florida chiamato Robert Cade e quali sono i suoi effetti miracolosi.

Chi non mi conosce abbastanza, pensa a me – ovviamente a torto – a una persona eccentrica, dalle abitudini e dalle inclinazioni talvolta bizzarre. E di questo me ne dolgo. Poi, viaggiando negli Stati Uniti, scopro che in un ipotetico confronto tra il sottoscritto e gran parte della popolazione americana in quanto a stranezze, usi e comportamenti – ma per me non è una novità, considerato che attraverso l’Oceano Atlantico ormai da trent’anni – mi accorgo che non c’è storia: ogni volta perdo nettamente per manifesta inferiorità. Sono normale. Maledettamente normale. Anche in occasione della mio ultimo soggiorno ne ho avuto riprova: ho casualmente scoperto la storia di una bevanda la cui invenzione è, se non strana, quantomeno originale. 

L’alchimista che trasformò il sudore in moneta sonante non aveva mai sospettato che il suo “succo di alligatore” avrebbe inondato il mondo, dissetando atleti australiani e italiani, tedeschi e giapponesi, spremendo vendite per circa 5,4 miliardi di dollari nel solo mercato interno americano, con una quota di mercato del 64%.

Fino al 1965, quando un nefrologo dell’Università della Florida chiamato Robert Cade, passato a miglior vita nel 2007 a ottant’anni, creò la pozione divenuta celebre con il nome di Gatorade. La formula era semplicissima: acqua e una presa di sale, proprio tutto ciò di cui uno sportivo con la lingua a penzoloni aveva a disposizione per cercare di rifocillarsi e di ritrovare le energie. Gatorade® è il nome commerciale, composto da alliGATOR, il rettile che infesta la Florida (da non confondere mai con il caimano e, ancora peggio, con il coccodrillo) e la desinenza lemonADE, limonata. Ma non fu in onore dei preistorici rettili che ancora oggi brulicano nei canali di bonifica intorno a Miami con il quale il nefrologo battezzò la bevanda. Fu in onore della squadra di football (americano) della locale università – la Florida Gators football –  che ha, come simbolo e nome un alligatore, Gator appunto e dove un allenatore in seconda dell’epoca – Dewayne Douglas – sempre alla ricerca di metodi per fare giocare meglio i suoi ragazzi ebbe l’idea di rivolgersi a Cade. Chiese allo specialista di patologie renali di spiegare come mai i suoi atleti giovanissimi, robustissimi e allenatissimi, crollassero in rendimento nel secondo tempo come fanciulle accalorate. E, fatto ancora più inspiegabile, alla fine dell’incontro non riuscissero a stillare nemmeno una goccia di pipì. 

Ora sembra l’uovo di Colombo nella sua banalità, ma anche per il sudore, come per l’uovo, serve un Colombo. Il dottor Cade misurò la quantità alluvionale di liquido che i giocatori producevano durante le partite con temperature sahariane e tassi di umidità da foresta pluviale. Vide che arrivavano a perdere anche quattro chili di peso ed erano chili di liquidi corporei (ne espellevano in quantità tale da non averne più da urinare). Esaminò la composizione della loro traspirazione e vide che perdevano, insieme all’acqua, sali, elettroliti come sodio e potassio, misurandone successivamente quantità e percentuali. Con un investimento iniziale di quarantatré dollari, Cade preparò nel suo laboratorio un intruglio di acqua, zucchero, sodio, potassio e cloro in minime quantità per riprodurre la composizione del sudore grondato. Insieme a suoi assistenti lo bevvero ansiosi, come il dottor Jekyll e immediatamente lo sputarono. Era, a dir poco, ributtante. «Sembra di bere il liquido per sgorgare i lavandini!» disse senza giri di parole la moglie di questo moderno Mago Merlino. Fu lei con la saggezza e la praticità tipica delle casalinghe a suggerire che al disgustoso beverone fosse aggiunto succo di limone e, per giorni, nel laboratorio dell’Università, il dottor Cade, i tecnici e la consorte spremettero limoni di gran lena e mescolarono sali. Ne uscì una bevanda potabile che l’alchimista portò all’allenatore della squadra per sperimentarla sui giocatori.

Come succede sovente in questi casi, ci furono forti resistenze. Per valutarne l’efficacia, il nefrologo voleva farla bere – in tutti i sensi – ai più accaldati e poi misurarne la temperatura corporea per via rettale. Neanche a parlarne. Alla fine si arrivò a un compromesso: l’allenatore acconsentì che il “succo di alligatore” fosse somministrato ai rincalzi della seconda squadra, misurando però la temperatura per via orale, meno precisa ma più virile. E quando le seconde linee, i panchinari cominciarono a suonarle di santa ragione ai titolari, rimontando lo svantaggio tipico del secondo tempo grazie a un repentino ritorno di energia, l’allenatore si convertì alla pozione miracolosa. A lungo prima che i Gators rivelassero il loro segreto, ci furono sospetti di doping, di fronte a una squadra che nel secondo tempo sembrava rinascere e vincere mediamente otto incontri su dieci. Ma quando la verità venne a galla e si vide che il beverone dai poteri magici altro non era che acqua e limone con l’aggiunta di sali minerali, la fortuna di Gatorade® fu scritta.

Ancora oggi ci sono molte persone che sorridono davanti al potere taumaturgico di questo liquido originariamente di colore paglierino, sinistramente evocante la pipì, sostenendo che il potere di Gatorade® è al 99% psicologico e solo l’1% fisiologico. Sarebbero sufficienti una bottiglietta d’acqua, una zolletta di zucchero, un pizzico di comune sale da cucina (per il sodio), una banana (ricca di potassio) e il succo di mezzo limone per ottenere lo stesso effetto, il tutto a un decimo del costo. Ma quando i diritti della “spremuta di rettile” furono acquisiti dalla PepsiCo, Gatorade® fu adottato da alcune divinità dello sport a livello mondiale all’inizio come Michael Jordan poi, negli anni a venire, da atleti del calibro di Serena Williams, Lionel Messi e molti cestisti di grido americani. I giocatori delle squadre vincenti presero il vezzo di rovesciare bidoni di Gatorade® sul capo dei loro allenatori, invece del “volgare” champagne da autodromi e il sorso rigeneratore di allora divenne il diluvio di oggi.    

Dopo anni di cause e scambi di artiglieria pesante tra legali, il dottor Cade ricevette finalmente i dovuti diritti, dapprima passati alla moglie Mary – colei che ebbe l’idea dei limoni – e successivamente ai sei figli. L’università che diede il nome, ogni anno incassa dal colosso delle bevande PepsiCo, Inc. alcune decine di milioni di dollari, con i quali finanzia la ricerca sulle malattie autoimmunitarie.

Se Gatorade® contribuisca davvero a fare vincere resta ancora oggetto di discussione fra gli specialisti di medicina sportiva, ma il “succo di alligatore” conferma una teoria di precettori e moralisti: non si può avere successo senza versare sudore.

Il (bellim)busto di cioccolato di Re Carlo III