Sara Scarsella, il valore del pensiero e dell’empatia nella cucina al femminile.

Per il primo appuntamento della rubrica “Cucina da Femmine” iniziamo con Sara Scarsella, classe 1992, giovanissima co-proprietaria e chef, insieme al compagno Matteo Compagnucci in cucina e alla sorella Carla in sala, di Sintesi. Un ristorante dall’atmosfera informale ma votato al fine dining, aperto ad Ariccia pochi giorni prima del lockdown di marzo 2020. Sara vanta una formazione di tutto rispetto in alcune cucine prestigiose: dallo stage con Valeria Piccini al Caino di Montemerano (GR) al periodo in Australia con Neil Perry, passando dal Noma e Geranium di Copenaghen.

Sara Scarsella, la formazione in cucine prestigiose e l’esempio di Valeria Piccini

Con Sara Scarsella parliamo dell’esperienza da imprenditrice e del percorso che l’ha portata ad aprire un locale che somigliasse al modello di ristorazione “empatica” che sognava di portare avanti insieme ai suoi soci. Per ora, con ottimi risultati. Come la recentissima inclusione tra i 10 finalisti dei TheFork Restaurants Awards, che li ha premiati tra le nuove aperture. “A mio avviso, una vera impronta maschile o femminile, nell’esito finale di un piatto, non esiste. C’è però una sensibilità particolare, che ognuno acquisisce a seconda della propria formazione e dei maestri che ha incontrato. A prescindere dal genere, la creatività di un cuoco si costruisce sull’esperienza”. E quelle di Sara sono sicuramente fondamentali, numerose e ricche. Particolarmente segnante quella al fianco di Valeria Piccini. Una cuoca che, per inquadrare una sua certa specificità, ha coniato addirittura un neologismo: Shef. A dimostrazione di come, dalle parole e dai termini, si possano indurre importanti cambiamenti di prospettiva. “Valeria è stata per me e Matteo una grande Maestra. In cucina, certo, ma soprattutto sul piano umano. Da quando abbiamo avviato l’azienda e creato una nostra squadra di lavoro, ho capito quanto sia importante un’apertura sincera e un confronto continuo con i propri collaboratori. Questo me l’ha insegnato proprio lei. Sa porsi sullo stesso piano, fare squadra e valorizzare il contributo che ognuno può portare, facendo attenzione alle differenze”.

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La gerarchia in brigata vs la cucina dell’abitare

Quello di una qualità del lavoro usurante, faticoso e machista quasi per definizione è uno dei temi più controversi, quando si pensa al femminile in cucina. Una posizione che sembra, nonostante gli enormi passi avanti in termini di parità di genere, ancora penalizzata da una visione gerarchica e pseudo-militaresca dell’operare in brigata. Un’impostazione schematica che si è prodotta in un momento storico particolare e che necessita di un grosso cambio di prospettiva. Un momento che risale infatti a più di due secoli fa, quando le cucine professionali erano nella quasi totalità dei casi in mano a uomini, le cui mogli o madri restavano a capo della cucina domestica e familiare. É forse proprio pensando a una “cucina dell’abitare” più improntata all’apertura e all’inclusività — per dirla con Nicola Perullo, filosofo e professore ordinario di Estetica all’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo — che si può iniziare a decostruire uno schema vetusto. A partire proprio dal team di lavoro. “É stato importante per me capire che non esiste solo il metodo e il ritmo alienante a cui siamo abituati. Sia chiaro, rimaniamo nell’ambito dell’alta cucina, dove è fondamentale un livello altissimo e costante di attenzione, una cura maniacale del dettaglio e grandissima serietà. Ma il nostro obiettivo è formare collaboratori che restino a lungo, legandosi a noi e al progetto. Da Caino ho appreso questo: la sensibilità e l’empatia nei rapporti umani”.

I ruoli in cucina, tra famiglia e lavoro

Dalla gestione sana e rilassata dello staff, che soprattutto in sala è chiamato ad accogliere i clienti con apertura e buonumore, ai rapporti ben definiti in cucina con Matteo. Un equilibrio preciso e bilanciato, che vede Sara Scarsella agli snack, antipasti, primi e infine al pass, a verificare che ogni piatto lasci la cucina in modo impeccabile. Secondi, dessert e pane sono invece responsabilità di Matteo, pasticcere per passione e vocazione. Nell’ideazione dei singoli piatti e nella costruzione del menù il loro è un lavoro orchestrato a quattro mani, fatto di scambi e confronto. Nell’esecuzione, però, le responsabilità sono nette e suddivise. Così come l’apporto dei sous chef, due persone che li affiancano separatamente aiutandoli nella gestione delle diverse linee. Parlare di squadra, di un gruppo coeso e affiatato, di rapporti affettivi che trovano il loro spazio anche sul lavoro, fa pensare alla tradizione italiana delle osterie e trattorie a conduzione familiare. Locali storici, in alcuni casi sopravvissuti al tempo, che proprio della cucina di casa, dei sapori noti e di un’idea di gastronomia come genere di conforto hanno fatto il proprio baluardo. Attività spesso a trazione femminile, in cui per le donne è stato possibile affermarsi sul piano professionale proprio perché la famiglia era tenuta vicina. “Anche io, come molti altri, ho iniziato ispirandomi alla cucina di casa. A una mia grande passione che però ho cercato subito di sviluppare e perfezionare, facendone la mia professione”. Sara descrive così la genesi di uno stile personale che poco indugia sul ricordo, la memoria o la tradizione tout court. Una mano più cosmopolita, la sua, che si è formata nelle cucine del mondo al di là dei localismi.

Le nuove tendenze dal Nord Europa e l’importanza del pensiero

Preziosissime le esperienze in Nord Europa, da dove, da oltre un decennio, arrivano alcune delle tendenze più interessanti in ambito gastronomico. Movimenti che descrivono una traiettoria di “abbassamento” dell’alta cucina, a riguadagnare (finalmente?) un legame stretto con la natura e una vicinanza all’avventore. La netta riduzione del consumo di carne e l’esaltazione del vegetale — pensiamo ad esempio al Geranium, dove appunto Sara Scarsella si è formata, e all’annuncio della rimozione delle proteine animali dal menù — l’attenzione alla nutrizione e al bilanciamento dietetico e, non ultimo, uno stile di servizio più semplice e pulito nell’accoglienza e nella mise en place. Tutti elementi, in fondo, che tendono a un modello di ristorazione più familiare, comprensibile e inclusivo. E che Sara e Matteo, da Sintesi, sembrano avere ben metabolizzato e fatto loro. “Spesso ci chiedono che cucina facciamo qui e noi rispondiamo ‘la nostra’. É tutto collegato al nostro pensiero, che è unico, così come quello di ogni cuoco. Una prospettiva che si è affinata viaggiando e lavorando nei vari ristoranti in cui ho perfezionato la tecnica, ma anche studiato molto. Mi piace sottolineare come la cucina non debba per forza essere una gara di stress mentale o forza fisica. Il pensiero viene prima. Così come lo studio. Anche per questo, nel nostro ristorante, cerchiamo di smantellare l’equazione ‘cucina = sacrificio.’ La cucina per noi è in primo luogo pensiero, affiatamento, collaborazione ed empatia”.

Credits fotografici: Andrea Di Lorenzo.