Salotto d’intervista. Parliamo della fine dell’alta ristorazione con lo chef Anthony Genovese

Il salotto d’intervista è un momento di approfondimento su una notizia della rassegna stampa settimanale curata da Andrea Febo all’interno del GRfood, podcast da ascoltare su Spreaker, Spotify e in streaming sulla App di Radio Food. Si è parlato tanto di fine dell’alta ristorazione e della cucina eccessiva in Italia e in se ne è discusso nel Salotto di Radio Food con lo chef Anthony Genovese.

La fine dell’alta ristorazione e della cucina eccessiva

Nell’inserto “Cook Racconti di cucina” del Corriere della Sera del 30 gennaio scorso un articolo di Alessandra Del Monte intitolato “«Overkill», la fine dell’alta ristorazione? Ecco perché il «modello Redzepi» (e Adrià) è in crisi” lancia l’allarme sulla fine dell’alta ristorazione in Italia a seguito delle chiusure a 13 anni di distanza dei ristoranti “eBulli”, nel 2010, e il “Noma”, chiusura annunciata nel 2023 programmata per il 2024, entrambi per lo stesso motivo: i costi per mandare avanti dei ristoranti di quel calibro sono diventati troppo alti e tra personale ridotto perché non si riescono a pagare troppi dipendenti ed il cercare di mantenere la qualità del cibo, non si riescono a mantenere i prezzi che invogliano la clientela a rimanere fedele. Uno studio del New York Times, ha dimostrato che non sono gli unici ristoranti ad aver chiuso insieme a quelli che sono stati costretti dalla pandemia sempre per questo motivo. L’argomento è stato affrontato nell’intervista con lo chef Anthony Genovese del ristorante Il Pagliaccio di Roma che ha espresso il suo parere sul destino dell’alta ristorazione.

Chi è lo chef Anthony Genovese

Nasce in Francia nel 1968 da una famiglia emigrata dalla Calabria. La sua formazione si svolge presso l’Ecole Hoteliére de Nice e procede nel sud della Francia. Torna nel paese dei suoi genitori all’Enoteca Pinchiorri e poi riparte portando il suo sapere in giro per il mondo tra Londra, Tokyo ed la Malesia. Ritorna in Italia e lavora a Ravello, dove ottiene la sua prima stella Michelin, e poi spinto dal desiderio di mandare avanti un suo ristorante apre a Roma Il Pagliaccio che al momento ha due stelle Michelin.

Anthony Genovese

AF: “È veramente la fine dell’alta ristorazione come titola Il Corriere?”

AG: “No, non è assolutamente la fine dell’alta ristorazione. C’è sicuramente stato un cambiamento rispetto, per esempio, a quando ho iniziato io negli anni 80. I prodotti al tempo avevano costi eccessivi quando si richiedeva l’alta qualità mentre adesso i prodotti hanno un prezzo minore. Quello che sta finendo è altro, per esempio il fatto che prima si puntava su un personale molto numeroso, oppure si compravano porcellane, posate e bicchieri di un certo costo. Oggi chi deve aprire come abbiamo fatto noi 20 anni fa deve capire che non serve più spendere tanto in quello che ho appena detto adattandosi ad uno stile più semplice e lineare, perché i costi eccessivi vanno concentrati in altro realizzando sempre qualcosa che realizza un ottimo effetto a livello gustativo.”

AF: “Questo secondo te è dovuto solo ad una questione di sostenibilità economica intorno alle spese o anche alla percezione che l’alta ristorazione ha del tessuto sociale? È cambiata questa percezione?”

AG: “Se vai in Spagna da Munoz, ci vogliono 2 se non 3 mesi per ottenere una prenotazione e questo significa che la clientela c’è ma parliamo della punta dell’iceberg e di posti così ce ne sono una decina o una ventina in giro per il mondo. Al Pagliaccio abbiamo un tipo di clientela più semplice, una clientela che vuole mangiare bene ma non spendendo cifre esorbitanti. Siamo stati per troppo tempo rinchiusi in una torre d’Avorio credendo che le cose non sarebbero cambiate, che tutto fosse facile e che le persone sarebbero venute lo stesso facendo durare questa cosa per anni invece abbiamo dovuto rivedere la nostra proposta creandone una più abbordabile dando comunque il massimo della qualità sia nel servizio che nella cucina.”

AF: “Secondo te anche nel mondo della comunicazione, che è il portale che permette alle persone di affacciarsi al vostro lavoro, si poteva fare meglio qualcosa durante il percorso? Visto dal tuo punto di vista di chef.”

AG: “Credo che anche la stampa abbia la sua colpa in questo contesto. La stampa si è lasciata trasportare dal vento dell’alta ristorazione portando ad una follia totale questo mondo. Ognuno quindi ha le sue responsabilità in questo caso ed il pubblico si è lasciato trascinare. Dopo il Covid tutto è cambiato. Da parte mia posso dire che dopo 20 anni il mio ristorante è ancora sempre pieno e lavora, questo mi fa pensare che ci sia un rapporto di fiducia tra noi e i nostri clienti. E questa è la cosa fondamentale. Credo che anche le grandi aziende non vogliano più spendere cifre folli per raggiungere certi livelli e raggiungere dei punteggi che richiedono le classifiche. La cosa importante è, però, essere sé stessi seguendo una propria linea più filosofica e non attaccarsi più al fatto che, se il tuo piatto non è una porcellana di lusso, allora non guadagnerai un posto alto in classifica. La comunicazione è fondamentale, ma va rivista.”

AF: “Vincerà comunque sempre la cucina. Però comunque possiamo dire che, nonostante questi articoli un po’ pessimistici, esiste ancora una parte dell’alta ristorazione sana”

AG: “Assolutamente. Basta vedere in Italia, parliamo per esempio di Noma che non è che chiude ma semplicemente si sposta, è stata semplicemente una trovata mediatica in cui hanno comunque detto che avrebbero chiuso nel 2024 non, per esempio, a Maggio. Bisogna leggere bene e saper capire questo tipo di comunicazione perché a me non risulta che ci siano state delle chiusure, durante il Covid sì purtroppo c’è ne sono state tante ma di questo nessuno ne ha voluto parlare. C’è questo intento di colpire il pubblico con questo tipo di titoli, la gente alla fine vuole solo mangiare bene, essere accolta, essere coccolata ed uscire per qualche ora dalla quotidianità e questo compito spetta a noi. Anziché avere una brigata di 20 cuochi ne avremo una di 10-12 pagati ed andremo avanti in quel modo.”

AF: “Quindi possiamo concludere dicendo che la ristorazione ha ancora tanta vita davanti ma non saremo noi a constatarlo?”

AG: “Per me ci sono tanti giovani bravissimi che stanno crescendo e sono veramente molto fiducioso nel nostro paese.”

AF: “C’è un giovane che ti piace particolarmente?”

AG: “Di tutti penso di poter dire Antonio Ziantoni di Zia, che a Roma sta facendo un percorso eccellente e penso che sentiremo parlare ancora a lungo di lui.”

Il podcast GRFood è disponibile su Spreaker, Spotify e sull’App Radio Food.

Ascolta il primo episodio con l’intervista completa a Anthony Genovese