La Pesca di Esselunga, perché nessuno ha visto la vera rivoluzione in questo spot?

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La Pesca di Esselunga, siamo talmente italiani come popolo ed egoriferiti come settore, da non aver colto la vera rivoluzione che questo spot porta nella comunicazione della filiera gastronomica.

Avrete letto mille cose di questo spot, che in realtà è un vero cortometraggio cinematografico della durata di due minuti, così come lo avrete sicuramente visto e forse rivisto, ma esiste la possibilità che nessuno però abbia mai raccontato cosa rappresenti questa produzione per il mondo della comunicazione enogastronomica. Una rivoluzione, questo è La Pesca di Esselunga. Una rivoluzione prodotta da Indiana Production, firmata dallo studio SMALL di New York e girata a Milano sotto la regia francese di Rudi Rosenberg.

Il perché sia una rivoluzione è semplice. Per la prima volta si interrompe la serie saturante di messaggi pubblicitari che cavalcano i valori di chi produce, con tutte le relative pappardelle sull’eccellenza, il territorio e quanto sono bravi e belli e sani i produttori di ogni cosa, puntando dritto ai valori di chi invece entra in un luogo e acquista.

La morale vera, che poco ha a che fare con quella di chi immagina attacchi o difese per il sistema famiglia, è che finalmente in Italia arriva una strategia di marketing che mira a prendere in considerazione cosa prova chi sceglie un prodotto. Un argomento sicuramente trito e ritrito per gli studi di settore, ma mai portato emotivamente in un contenuto promozionale al fine di comunicare tutto quello che può esserci dietro un prodotto, dal punto di vista del consumatore e dei valori che gli attribuisce scegliendolo.

Ora, se è vero che negli ultimi anni abbiamo gioito per il cambiamento del sistema video negli spot pubblicitari, ormai a senso unico verso un “diverso” che in realtà è normale (dalle modelle di terza età nell’estetica fino alle coppie gay nel settore automotive), è sicuramente anche vero che questo non è il primo caso in cui la famiglia di genitori separati viene presa a modello riconosciuto di un messaggio commerciale. Quindi cos’è che cambia questa volta? La zona di comfort, forse. Ovvero la posizione dalla quale lo si guarda. Ne La Pesca di Esselunga l’adulto italiano medio vede un attacco al diritto di separazione, con tutti i sensi di colpa derivanti da una tuttora ossessiva educazione cristiana. Di fatto però a un regista francese e a una produzione americana (anche se condotta da italiani), ma più di ogni altro alla catena Esselunga, non sfiora nemmeno l’idea di lanciare messaggi di natura politica o sociale, quelli ce li vede chi ha nello stomaco il senso scomodo di un qualcosa che appartiene solo a lui. Una scomodità di coscienza che porta alla critica, ma poco centra l’obiettivo promozionale dello spot. La critica fa opinione, quindi ben venga, ma le lotte complottiste tra lobby sono obiettivamente fuori da questo spot, anche perché non sarebbe proprio di interesse per Esselunga prendere una posizione in questo senso inimicandosi una fetta importante di clientela.

Certamente la scelta di una famiglia separata, dal punto di vista del bambino, è una precisa strategia studiata per creare coinvolgimento emotivo. Anche perché, per tutta la durata dello spot, c’è una malinconia generale che domina su tutti. Fattore che, a un occhio più attento, potrebbe raccontare quanto tra gli adulti ci sia una nostalgia che la bimba percepisce e trasforma in un gesto che loro non sanno fare. Una dimostrazione di amore che per chissà quale motivo gli adulti sopprimono e che solo un bambino ha la magia di trasformare in un frutto. Sarà per quello che nel finale, degno di una stagione da seconda serie annunciata, rimane la domanda “Ma poi la mamma l’avrà chiamata? Che succederà dopo?”.

Un cinema, una strategia di marketing emozionale e finalmente lo sconvolgimento di quel messaggio a senso unico che ha caratterizzato (ed esasperato) la filiera agroalimentare per anni. Un prodotto che mi permette di passare avanti anche al fatto che le pesche sono fuori stagione, anche perché sarà diseducativo, ma rimane coerente con quello che si trova al supermercato. Ognuno poi sulle questioni di principio sociale è certamente libero di continuare a sentirsi in posizione critica, per carità, ma io credo che se usciamo da ogni logica di pregiudizio sociale, illogica in questo caso e iniziamo a parlare di comunicazione, il cortometraggio di Esselunga è una rivoluzione in ogni suo aspetto.

Non rubiamo la pesca a una bambina, lasciamole desiderare quello che è lecito abbia voglia di desiderare e che vi assicuro rientra nei desideri di ogni bambino di genitori separati, chiediamole piuttosto una cosa semplice: “Ma la pesca l’hai pesata? Perché nel film non sembra, non è che niente niente…”