La chiamano Cirò Revolution

Cirò Revolution

La Doc Cirò spegne quest’anno 50 candeline e la IV edizione del Cirò Wine Festival, che si è tenuta il 9 e il 10 agosto scorso, è stata l’occasione ideale per celebrare questo importante anniversario. Una Doc che è un marchio identitario per la regione, un marchio sempre più conosciuto in Italia e nel mondo, riscoperto ancora di più negli ultimi anni con la nascita di piccole realtà produttive che hanno dato nuova linfa al territorio cirotano.

La Cirò Revolution

Parlare di vino calabrese porta subito a pensare al Cirò e ad una serie di cantine, quali ad esempio Librandi e Ippolito 1845, che sul territorio hanno fatto la storia e sviluppato economia. Ma gli artigiani del Gaglioppo sono tanti, sono giovani e hanno avviato da alcuni anni la cosiddetta Cirò Revolution.

Una vera e propria rivoluzione concettuale prima di tutto, che si rispecchia nell’equazione Cirò = Gaglioppo, senza variazioni sul tema come il disciplinare concede.

L’espressione di un territorio

Il Cirò deve essere espressione di questo territorio, deve portare nella bottiglia la vicinanza del mare, le diverse tipologie di terreno, il nostro lavoro. Il Cirò per come lo intendo io, e tutti gli altri miei amici viticoltori che fanno parte di questo movimento è Gaglioppo al 100% e niente altro”. Queste le parole di Sergio Arcuri, uno degli esponenti del gruppo di vignaioli testardi e orgogliosi che hanno deciso – e questa volta bisogna dire viva la tradizione purista – che il Cirò, nella sua versione sia rossa che rosata, deve essere ottenuto solo da uve Gaglioppo.

La cantina ‘A Vita

Primo fra tutti a “predicare” questa rinascita della denominazione Cirò è stato Francesco de Franco, titolare della cantina ‘A Vita, che ha ereditato le vigne di famiglia e dopo anni passati lontano dalla Calabria, ha deciso di tornare e di puntare su quelle che sono le sue origini (sostenuto dalla moglie friulana).  “Sarà retorica come frase, ma il vino lo facciamo in vigna. Seguiamo le viti passo dopo passo, le curiamo una ad una per poter ottenere un vino che sia espressione di questo territorio. Io non voglio fare il mio Cirò, ma il Cirò”.

Mentre parla dell’impegno che ci vuole in vigna, della scelta di essere un vignaiolo naturale e di affidarsi al ciclo della natura, senza chimica aggiunta, ma curando meticolosamente le proprie piante, ci indica la costa. Sono chilometri di vigna lungo il mare, duemila ettari in tutto, ma soltanto un quarto sono rivendicate a Cirò, divisi in parcelle con caratteristiche organolettiche diverse, che si arrampicano sulle colline dai terreni sabbiosi e guardano la Sila. Gli elementi climatici ci sono tutti, i venti di scirocco e tramontana che determinano la salubrità della vite e le escursioni tra il giorno e la notte che aiutano a tirare fuori gli aromi dell’uva.

Cirò RevolutionLe vigne di Gaglioppo

La maggior parte delle vigne di Gaglioppo sono allevate ad alberello e ciò comporta una presenza in vigna perenne, più volte al giorno, con una lavorazione tutta manuale. La resa è bassa, di alta qualità aromatica e organolettica, piccole produzioni per ogni cantina di qualche migliaio di bottiglie, che arricchiscono il patrimonio enologico della Calabria.

Insieme ad ‘A Vita e Arcuri c’è anche Cataldo Calabretta, tra i fautori e sostenitori della Cirò Revolution, Vicepresidente del Consorzio del Cirò e Melissa, che alla domanda “qual è il vostro obiettivo” risponde subito: “Vogliamo contribuire a migliorare la doc, lavorando tutti insieme. La nostra è una battaglia per il territorio”.

Il vino biologico e naturale

Dalle parole dei rivoluzionari del Cirò si intuisce subito la passione che alimenta questa generazione di vignaioli, che non si fanno concorrenza, ma collaborano, si confrontano puntando a migliorare sempre di più il prodotto. Hanno scelto la strada del biologico e del naturale, dove naturale significa artigianale, prendersi cura della vigna, saper intervenire non in modo artificiale, saper restituire al vino quelle che sono le caratteristiche dell’uvaggio. E come sottolinea Sergio Arcuri, che vinifica in cemento come facevano il nonno e il padre tanti anni fa e come fa anche Calabretta: “il Gaglioppo è un vitigno riconoscibile al primo sorso, dal colore un po’ scarico, con un corpo che è dato dal sole, agli aromi di spezie, frutta rossa, erbe aromatiche e una sensazione tannica particolare e unica, che non ti puoi sbagliare. E ogni Cirò sa essere diverso perché è frutto di quell’uva e di quel lavoro, non possiamo pensare a un gusto standard o a un colore sgargiante, per noi è inammissibile e come perdere identità”.

Il rosato calabrese

Gaglioppo in purezza dicevamo, per il Cirò rosso e rosato, mentre Greco Bianco, sempre in purezza o con aggiunta di Malvasia per il Cirò Bianco. Ed è necessario spendere qualche parola sul rosato calabrese, un vino di tradizione, riconosciuto e consumato. Come spiegano i nostri artigiani questo è sempre stato il vino di casa, quello di tutti i giorni a tavola, mentre il rosso era considerato il vino delle occasioni speciali. Un vino che oggi ha una grande riscontro sul mercato e dà molta soddisfazione negli abbinamenti gastronomici. E poi, vista la lunga tradizione, pare che sia uno dei migliori d’Italia.

Insieme a Francesco, Sergio e Cataldo in questa piccola grande rivoluzione troviamo anche cantina Tenuta del Conte, Dell’Aquila, Cote di Franze, Scala, Cantine Greco,  per citarne alcuni e tanti altri nuovi giovani produttori che guardano a questo movimento sinergico e di identità come la strada maestra, da cui anche i grandi stanno prendendo ispirazione per ridare al territorio e al Cirò il grande valore che merita.