Il cibo italiano all’estero tra export e Italian Sounding

Dal 2008 ad oggi il valore dell’export del cibo italiano è aumentato del 95% e rappresenta il 25% del fatturato totale del settore secondo le stime di Federalimentare.

L’Europa si conferma la prima destinazione dell’agroalimentare Made in Italy, con una quota del 70% sulle esportazioni italiane del settore. Tra le prime destinazioni dei prodotti food italiani ci sono Germania, Francia, Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi, Belgio e Austria.

Una crescita costante che ha registrato un surplus di vendite anche verso i Paesi Extra-UE pari a 37,8 miliardi di euro. Tra i principali acquirenti dei prodotti agroalimentari italiani al di fuori dell’UE al primo posto ci sono gli Stati Uniti, seguiti da Giappone e Svizzera.

Performance favorite dall’immagine del prodotto italiano percepito nel mondo come sinonimo di eccellenza e qualità, a fare da traino infatti sono soprattutto gli 818 prodotti certificati DOP e IGP, che costituiscono ben il 22% delle esportazioni dell’agroalimentare nazionale, per un valore di 8,4 miliardi di euro. Guardando al dettaglio dei singoli  Paesi  europei,  il  vino  e  le  bevande  vantano performance che vanno da un 20 a un 40,2% delle vendite sull’export, a breve distanza seguono i piatti pronti e i condimenti, i prodotti a base di carne e I latticini.

Il fenomeno della contraffazione e dell’Italian Sounding

Esiste, però, il rovescio della Medaglia. Va detto infatti che le vendite del Food and Beverage italiano all’estero sono fortemente condizionate dall’impatto dei fenomeni della contraffazione e del cosiddetto Italian Sounding. Ogni anno la contraffazione genera perdite pari a 15 miliardi di euro, colpendo diverse categorie mercelogiche. A livello mondiale le frodi sul cibo valgono oltre 100 miliardi di falso Made in Italy agroalimentare con un aumento record del 70% nel corso dell’ultimo decennio, per effetto della pirateria internazionale e dell’Italian Sounding, che utilizza impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che richiamano all’Italia per alimenti che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale, dietro i quali spesso si nascondono ricette modificate, uso di ingredienti di scarsa qualità o metodi di produzione alternativi e senza trasparenza. In tutte le categorie di prodotti imitativi più diffusi nei mercati in esame, si registra un abbattimento dei costi rispetto ai corrispondenti prodotti autentici.

Assomercatoestero e il Progetto True Italian Taste

Questi dati arrivano dagli studi fatti da Assomercatoestero, in collaborazione con le varie Camere di Commercio Italiane all’Estero (CCIE), nell’ambito del progetto True Italian Taste finanziato dal Ministero degli Affari Esteri al fine di valorizzare e salvaguardare l’autentico prodotto agroalimentare italiano. Il Progetto è stato avviato nel 2016 in Nord America con la promozione dell’agroalimentare italiano autentico, per poi estendersi nel 2018 all’Europa e l’anno dopo all’Asia, mentre Sud America e Australia sono state messe sotto la lente d’ingradimento a partire dal 2020. Oggi l’indagine coinvolge complessivamente36 CCIE operanti in ben 23 Paesi esteri.

Asia e Italian Sounding

Ma vediamo nel dettaglio quali sono i prodotti italiani maggiormente contraffatti e richiesti nei vari mercati mondiali. Le categorie di prodotto maggiormente colpite dal fenomeno dell’Italian Sounding individuate sono: prodotti lattiero-caseari, pasta, prodotti da forno (snacks, dolci), prodotti a base di carne, condimenti (sughi, aceto, olio), surgelati e piatti pronti,  bevande (caffè, hot drinks, vino).

In Asia è l’India il porta bandiera dell’Italian Sounding con il 51,2%, dei prodotti di imitazione italiana presenti nel mercato, soprattutto nel settore salse e sughi dove fa da padrona la “Ragu Pizza Sauce”, una salsa per pizza ma senza carne. Atro esempio emblematico il pesto, in cui si utilizzano rosmarino e timo al posto del basilico, mantenendo la denominazione “Italian herbs” senza che le materie prime arrivino dall’Italia.

A Singapore è la pasta il prodotto Italian Sounding più diffuso, i latticini sono I prodotti più imitati a Hong Kong, con la mozzarella capofila, mentre in Cina, un terzo del food Italian Sounding è costituito dai surgelati e piatti pronti (pasta e pizza), seguito dal Vietnam che ama pizza e gelati surgelati. Tutti prodotti che vanno forti grazie a dei packaging che utilizzano il tricolore o diciture come “Italian Style”, “Italian crispy pizza” per promuovere un prodotto realizzato localmente ovviamente con ingredienti differenti rispetto all’originale e adattato ai gusti locali. In Cina interessante è il caso di una specifica marca, in realtà tedesca, “Kuhne”, che riporta riferimenti grafici che richiamano l’italianità, come la dicitura “Aceto balsamico di Modena” e un’immagine della città di Modena nell’etichetta.

Il 17,5% dei prodotti imitati in Asia appartiene al mondo lattiero-caseario e quasi nella metà dei casi (il 47,7%) ad essere oggetto di imitazione è la mozzarella, che viene confezionata con un packaging evocativo dell’Italia, ma anomalo rispetto alla versione classica a cui siamo abituati, qui la mozzarella si vende in scaglie, grattugiata o a fette. E poi c’è il celebre formaggio grattugiato venduto con la denominazione “Parmesan”.

I prodotti a base di carne più imitati sono gli affettati che utilizzano per le etichette elementi di italianità e richiamano noti marchi nostrani: “Genoa Salame Daniele”, “Italian Style Prosciutto”. E anche I prodotti da forno presentano nomi italianeggianti, come “Biscotti MIlano”, “Biscotti Cappuccino”, “Biscotti Grona Garibaldi” ecc.

Europa, Nord America e Italian Sounding

L’Italian Sounding in queste aree riguarda il 97% dei sughi per pasta, il 94% delle conserve sott’olio e sotto aceto, il 76% dei pomodori in scatola e il 15% dei formaggi.

In Europa al primo posto troviamo i prodotti della confectionery, un livello di diffusione addirittura superior alla media generale (55,5%).

Diversa la situazione in territorio nordamericano, dove la vetta del podio è occupata dai latticini e prodotti lattiero-caseari, qui un prodotto su tre oggetto di imitazione appartiene al mondo dei formaggi e nel 30% dei casi la protagonista è la mozzarella, sempre venduta  a scaglie, e a seguire fontina, parmesan, mascarpone, gorgonzola e provolone con marchi evocative quali Stella, Belgioioso, Mama Francesca e sempre  accompagnati da colori e grafiche che ricordano l’Italia o la dicitura Italian Style o Ricetta italiana.

La pasta occupa il terzo posto tra i prodotti più imitati a livello globale, con una quota del 16,1% su quelli rilevati dalle CCIE. Tortellini, maccheroni, ravioli, fettuccine Italian Sounding sono maggiormente diffusi in Europa, dove con una quota del 17,4% la pasta rappresenta la seconda categoria di prodotti più imitata, che nel Nord America (14,6%), dove occupa addirittura la quarta posizione, preceduti dai i prodotti a base di carne, di cui oltre la metà rappresentati dai salumi. Il prosciutto di imitazione è molto diffuso (30% circa dei prodotti) e presenta tagli di prezzo su quello autentico che vanno dal – 17% al -40%. In Europa il prosciutto detiene il primato in tema di imitazioni, seguito dalla mortadella particolarmente imitata in Spagna, dove troviamo la “Mortadela Italiana” o la “Mortadela Siciliana”. Negli Usa troviamo i “Salamini Marsala” o la “Sopressata”.

Nell’Area Nordamericana è da rimarcare la presenza di prodotti da condimento, come olio e aceto, dove il mercato, specie in piazze come Los Angeles, risulta saturo di prodotti pseudo-italiani, venduti come “Italian Extra Virgin Olive Oil”.

Il Beverage

Tra le bevande in Asia, soprattutto in Vietnam si registra una discreta presenza di caffè che,  seppur confezionato in Australia, presenta un packaging che richiama l’Italia attraverso le diciture “Caffè Roma Perfetto Coffee”, “Ca Phe Napoli”, “Vittoria Espresso Coffee”, etc.. Percentuale del 12,6 per il caffè non originale ma con assonanze locali diffuso in Europa e specialmente in Francia e in Svizzera.

Infine, per quanto riguarda il vino e i liquori, si riscontrano pochi casi di Italian Sounding sia in Europa (6,3% all’interno della categoria) che nell’Area NAFTA (5,9%). Spesso vengono utilizzati nomi italiani dalle aziende produttrici locali, assieme alla bandiera italiana e a nomi originali italiani come “Chianti” e “Amarone”, anche se il prodotto è imbottigliato negli USA o in Canada, o ad etichette come “I love Italy” in Spagna per il vino, mentre per liquori come il limoncello vengono utilizzate immagini di aperitivi tricolore in Francia, Olanda e Spagna.

Origine e canali distributivi dei prodotti Italian Sounding

Ma se non sono fatti in Italia da dove arrivano questi prodotti? Parte dei latticini che richiamano l’Italia provengono da Stati Uniti, Australia o da Paesi europei come Germania, Danimarca, Grecia con un abbattmento dei costi che va dal – 33,4% fino al 52%. Spaghetti, penne, maccheroni, fusilli Italian Sounding spesso arrivano da Australia, Inghilterra, Germania, Turchia, Spagna e Grecia, che producono sia per il loro mercato interno che per altri paesi esteri.

La grande distribuzione risulta essere il bacino più ampio e attivo per i prodotti del food Italian Sounding: in Asia per il 64,2% grandi catene di supermercati, 48,6% GDO in Europa e 45,5%grandi catene di supermercati in Nord America. Gli specialty stores e le boutique enogastronomiche risultano un canale di approvvigionamento significativo solo per l’Area NAFTA, qui oltre un terzo dei prodotti di imitazione italiana sono disponibili in negozi specializzati (il 35,2%).

Sono i packaging sono il primo veicolo più fuorviante a causa dell’uso del tricolore, dell’utilizzo di denominazioni improprie come “sugo per pasta italiana” o l’utilizzo di termini che richiamano l’Italia, la sua cucina come “Contadina”, “Roma Tomatoes”, “Spaghetti”, “Traditional”, “Napoletana”, “Bolognese”, “Basilico”, “Salsa per pizza”, “Minestrone”, “Zuppa italiana”, “Al Dente”.