BARRED: letteralmente “barrato”

Barred

Un escamotage che già di per sé prelude a una invettiva provocatoria del concept del locale di Tiziano e Mirko Palucci, fratelli e proprietari di questo angolo culinario, inusuale e un po’ defilato tra le vie di San Giovanni. Un nome depennato, dunque, che anticipa simbolicamente tutto ciò che BARRED non è: non è convenzionale nell’arredamento, non è “classico” nelle proposte, non è noioso per l’atmosfera, non è ripetitivo nel menu.

Aperto da 3 anni, ha assecondato l’evoluzione della filosofia promossa da Tiziano, chef ed ex di Marzapane al periodo di Alba Esteve Ruiz: prima, assumendo i connotati di un bistrot trasversale, aperto dalla mattina fino al dopocena, in cui spaziava dalle colazioni alla gastronomia d’asporto e dall’enoteca al cocktail bar; in seguito, si è avvicinato ad un approccio più sintetico e asciutto, focalizzato sulla ricerca culinaria del ristorante.

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La filosofia culinaria di Barred

Le idee che i fratelli Palucci concepiscono insieme, trovano forma nelle mani di Tiziano e il loro racconto viene affidato al servizio di Mirko: pur lavorando separatamente – il primo in cucina e il secondo in sala – riescono a generare una sintonia virtuosa, equilibrata e ben rappresentata nell’esecuzione dei piatti.

Dopo aver deviato dalla “filosofia del banco” – che è “interessante e di qualità ma non per tutti”, afferma lo chef – si sono avvicinati a un pubblico più ampio con la formula delle tapas, adottando un nome ben più accattivante delle timide “mezze porzioni”.

Così facendo, hanno creato una cucina giovane, diretta e intuitiva, senza troppi cliché. Contemporanea ma alleggerita da quella pretesa di perfezione che facilmente si ritrova nei virtuosismi di altri chef, ma che non sempre appaga.

La prova d’assaggio

Da Barred siamo andati a cena, lasciandoci guidare dall’estro dei padroni di casa, sia per quanto riguarda la scelta dei piatti che per il vino da abbinare, concedendoci una felice deresponsabilizzazione durante tutto il pasto. Un percorso di 5 tapas, inaugurato dal brindisi naturale del Bianchello Ribelle di Tenuta Ca’ Sciampagne, un eccezionale vino bianco marchigiano, ottenuto da uve fermentate spontaneamente con soli lieviti indigeni e macerato sulle bucce per 12 mesi.

Perfetto l’abbinamento con la selezione dei piatti serviti in tavola: come primo ingresso, una doppia consistenza di seppia, calda – fritta – e fredda – in versione tartare. Quest’ultima resa molto sapida dalle coppiette di maiale sbriciolate sopra ma intonate perfettamente all’intingolo di chimichurri posto sul fondo della terrina. La seconda entrata prevede un fuori menù inaspettato: la mousse di milza, uva e sedano fritto, irrorata da una riduzione di acqua di sedano è stata una vera sorpresa per il palato, facendo da apripista al terzo incontro. Un mezzo porcino profumato da salvia e rosmarino, accompagnato da una maionese al burro che ha fatto diventare il re del bosco un essere pericolosamente grasso e goloso!

Il piatto della serata

Un posto d’onore dunque al porcino, che tuttavia lascia lo scettro al piatto più azzeccato della serata: il fegato di vitella, nocciole e funghi shitake, con la sua esplosione lipidica ha sbaragliato le capacità percettive e sensoriali conquistando la mia fiducia dal primo boccone. Ogni proposta detta bene le regole su cui Barred ha fondato la propria identità: puntare sulla qualità dell’ingrediente più che sull’articolazione del piatto; valorizzare l’elemento vegetale nella sua semplicità, rispettando l’alimento “al fine di comunicare, in modo diretto ed efficace, il buono senza mai perdere di vista il “giusto”.

Il dessert

L’elemento pastoso e untuoso è stato senza dubbio il fil rouge di tutta la degustazione, una costante che – a mio parere – ha leggermente appesantito il percorso di assaggi… fino all’ultima portata: una bavarese al cioccolato bianco, affatto zuccherina, che riequilibra in un cucchiaio l’intera esperienza gustativa. Un “dolce non dolce”, abbinato alle note vegetali del cetriolo e a quelle secche del gin, tra i veri protagonisti di questo locale. Perciò, prima di andare, ci complimentiamo con i proprietari, tenendo in mano l’ottimo cocktail a base di gin almanacco coffee steal e ginepro e contemplando il giorno in cui poter tornare di nuovo.