Jamìn e gli UnderWaterWine, “lavorare sodo” per una nuova concezione di affinamento del vino.

Antonello Maietta, Presidente uscente Ais, ora di Jamìn Portofino UnderWaterWines, ci racconta il sogno e la realtà dietro il perfezionamento delle cantine subacquee della società.

Nel 2015 nasce Jamin, una società di ingegneria che si occupa di garantire supporto tecnico per l’affinamento subacqueo, all’interno dell’Area Marina Protetta di Portofino, quasi per scherzo, come afferma Maietta, grazie a tre imprenditori che decidono di cimentarsi con la creazione di cantine subacquee e dare vita a una tecnica innovativa di conservazione ed evoluzione di vino, distillati e altri prodotti alimentari allo stato liquido.

Ad oggi oltre 200 differenti tipologie di vini, provenienti da cantine di tutta Italia, sono state affinate con il supporto di Jamin. Ad ognuno di essi viene dedicato uno studio particolarizzato, perché ogni prodotto ha le sue peculiarità che vanno considerate per garantire un’esaltazione del prodotto al meglio. Ma facciamo un passo indietro per capire da dove arriva questa nuova tensione sperimentale.

UnderWaterWine come si sviluppa questa idea

A livello internazionale si iniziò a parlare di affinamento dei vini subacqueo (tolte le anfore di secoli precedenti al nostro, ritrovate sommerse per puri incidenti navali, non certo per volontà tecnica) all’incirca nel 2010, quando nelle Isole Aland dei subacquei individuano il relitto di una nave, affondata nel 1880 che faceva la spola tra Francia e San Pietroburgo. Nelle stive c’erano circa 168 bottiglie di Champagne, con molta probabilità destinate allo Zar. A terra, le bottiglie vengono assaggiate e messe all’asta e la prima azienda che riconosce il potenziale di queste bottiglie e a metterci il cappello sopra è Veuve Clicquot, anche perché di queste 168 circa una cinquantina si accorgono essere le loro.

In Italia c’erano già due produttori che senza conoscersi, tra il 2008 e il 2009, quindi ancora prima del ritrovamento della nave, avevano deciso di mettere il loro vino sott’acqua. Uno era Piero Lugano a Portofino e lo fa per una questione logistica, non avendo più spazio in cantina per affinare il suo metodo classico, tappando il vino col tappo corona e affrontando tutto il processo di affinamento sui lieviti sott’acqua, per poi riportarlo a terra e procedere alla sboccatura e così via. Esattamente dalla parte opposta, sull’Adriatico, troviamo un giovane fisico Gianluca Grilli, ora uno tra i soci fondatori di Jamìn, insieme all’amico poeta Tonino Guerra impegnato in un convegno per riportare alla memoria un incidente avvenuto nel 1965 in mare di fronte Ravenna, durante un trivellamento. L’incendio che ne scaturisce dura 40 giorni, al termine dei quali la piattaforma collassa, passa il tempo, l’accadimento finisce nel dimenticatoio. Per ricordare i morti durante questo disastro, il Poeta chiede la concessione della piattaforma collassata, inizialmente per esplorazioni subacquee, in seguito per sperimentare l’immersione di bottiglie di vino all’interno del cratere formatosi con l’esplosione. A questi due esempi sono susseguiti altri tentativi di mettere in autonomia le bottiglie sott’acqua, vuoi per curiosità, vuoi per esigenze logistiche. Ad oggi, i clienti di Jamin sono proprio queste aziende che, dopo tentativi fallimentari – tappi esplosi o altro – si sono rivolti alla Società per consulenza.

UnderWaterWines, questione di know-how

La Jamin Portofino UnderWaterWines, infatti, non è un’Azienda produttrice di vino, ma fornisce know how alle stesse grazie alla collaborazione di ingegneri, fisici, biologi marini, sommelier, enologi e subacquei. Tutti possono mettere bottiglie sott’acqua, per ottenere delle concrezioni sul vetro basta immergere le bottiglie anche a basse profondità, ma per una buona riuscita di affinamento, il tentativo comporta un dispendio anche economico rilevante.

Si consideri che per avviare la startup nel 2011 è stata lanciata una campagna on line di equity crowdfunding che ha coinvolto circa 300 investitori, anche grazie a quella raccolta, la società ha iniziato a investire una parte considerevole delle proprie risorse nella ricerca e nello sviluppo. E come si ottiene una buona riuscita? Riproducendo a livello sottomarino una vera e propria cantina, scegliendo la giusta profondità (il sito di Portofino ad esempio si trova a -52 metri) dove la temperatura è pressoché costante a 13-14 °C (come una cantina terrestre); inserendo le bottiglie all’interno di ceste metalliche che possono ospitare 500 unità destinate all’immersione, monitorate da sensori che vanno sostituiti ogni 2-3 a causa della salsedine; utilizzando un pontone per l’immersione che ha un valore di circa 300 mila euro, fino all’utilizzo di capsule elastiche da inserire sopra al tappo originale in sughero, per impedire al massimo la penetrazione di acqua all’interno della bottiglia. Per tutti questi fattori il modello Jamin 2.0 si prefigge di sviluppare un tipo di affiliazione in franchising per permettere a qualunque produttore di creare in autonomia la propria cantina subacquea, potendo contare sul supporto tecnico e commerciale della Società.

Affinamento in cantina e affinamento subacqueo, due realtà a confronto.

Gli UnderWaterWines sono avviati all’affinamento subacqueo soltanto dopo l’imbottigliamento da parte dell’azienda produttrice e, a tutti gli effetti, pronti per lo scaffale. L’immersione andrà a costituire un secondo, o terzo, affinamento per apportare ulteriore caratterizzazione al vino. E proprio gli studi portati avanti in questi anni, recentemente avvalendosi della collaborazione della Facoltà di Enologia e Viticoltura dell’Università di Firenze, stanno analizzando l’entità di questo apporto. Ad oggi si può intanto ritenere che, in conformità a una crescita della sensibilità ambientale e dell’ottimizzazione delle risorse, “cantinare in subacquea riduce inoltre la necessità di magazzino e permette di limitare le dimensioni della cantina terrestre e il consumo di suolo. A ciò si aggiunga che, quando i prodotti sono immersi in aree di riconosciuto valore naturalistico, nel pieno rispetto dell’habitat subacqueo, e si crea una filiera produttiva di prossimità, si favoriscono le realtà economiche locali, coinvolgendole nelle attività a supporto del business, promuovendo anche il turismo enogastronomico. La crescita generalizzata della sensibilità ambientale e la tendenza a diminuire gli sprechi sono aspetti che non possono essere ignorati dalle imprese”. Inoltre, azzerate le condizioni di temperatura costante e assenza di luce, presente in entrambi i sistemi di affinamento, quello subacqueo si avvale di una caratteristica assente in quello terrestre, la pressione sul tappo esercitata dalla colonna d’acqua che, trattandosi di una influenza su un prodotto “vivo”, necessariamente comporta una sua modificazione.

Le realtà di Jamin in Italia

Il 2023 di Jamin Portofino UnderWaterWines si chiude con: 1 cantina subacquea a Portofino, 4 cantine subacquee in Emilia-Romagna, Calabria, Molise, Toscana, 4 nuove aperture in calendario in Campania, Abruzzo, Sicilia, Basilicata e 200 aziende produttrici coinvolte nelle varie aree. Considerando che il mercato degli UnderWaterWines nel 2022 ha generato 400.000 unità a livello mondiale, di cui 150.000 in italia, con una crescita esponensiale rispetto all’anno precedente – circa 100.000 – possiamo cominciare a considerare a tutti gli effetti quella subacquea una tecnica alternativa di conservazione ed evoluzione. In che modo e in quale misura apporti il suo contributo al mondo enologico lo sapremo con l’avanzamento della ricerca e dello sviluppo.

Terre di Cosenza la nuova Calabria del vino.

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