Microimpresa domestica. Come trasformare una passione nel proprio lavoro.

Negli ultimi due anni la trasformazione di una passione in una piccola attività, soprattutto in ambito alimentare, è diventata realtà grazie al riconoscimento giuridico e all’inquadramento fiscale delle microimprese domestiche. Ma cosa è esattamente una microimpresa domestica, nello specifico del settore alimentare? E’ un’attività di lavoro indipendente che produce e vende ‎alimenti ‪fatti in casa con regolare notifica sanitaria, iscrizione alla Camera di Commercio e Partita I.V.A. Dal punto di vista della normativa di settore la microimpresa domestica è una piccola impresa inquadrabile nel settore artigianato (secondo l’art. 2083 del Codice Civile nei piccoli imprenditori rientrano gli artigiani).

In questo modo e con un minimo investimento è possibile dar vita al lavoro dei propri sogni, si può finalmente trasformare un hobby o una passione in un mestiere. E anche se si tratta di una micro-attività produttiva saremo a tutti gli effetti degli imprenditori, piccoli ma pur sempre imprenditori. Perché da un punto di vista giuridico il microimprenditore è un «piccolo imprenditore»: questo lo status riconosciuto dalla Unione europea (regolamento n.852 del 2004), una figura giuridica come tutti coloro che svolgono attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei familiari. Da non confondere, però, con la denominazione «piccola e media impresa» che il codice civile dà del “piccolo imprenditore” perché in questo caso siamo sul versante dello status economico.

Per destreggiarsi meglio in questo iter che sono nate alcune associazioni di promozione sociale che sostengono i potenziali micro imprenditori lungo l’intero percorso burocratico e amministrativo. Cucina Nostra in Piemonte è la prima ad offrire questo tipo di servizio sul territorio nazionale, pensata e fondata da Patrizia Polito, alias MammaFornaia, prima microimprenditrice dal 2014, che a quasi 50 anni lascia il solito ufficio che occupava da oltre 20 per “fare il pane in casa”.

Ma qual è l’iter obbligatorio per avere la propria microimpresa domestica? Come per le altre imprese del settore, bisogna seguire il corso per ottenere la certificazione HACCP; fare domanda al SUAP (Sportello Unico Attività Produttive); presentare la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività); pagare le tasse al Comune; fare i lavori di adeguamento in casa e iscriversi alla Camera di Commercio. C’è da sottolineare che il regolamento europeo viene interpretato e applicato in maniera differente a seconda del comune e della regione, pertanto ci si potrebbe trovare di fronte a richieste diverse. Ad esempio il Piemonte fino a qualche mese fa richiedeva in modo obbligatorio la doppia cucina, cosa non per tutti possibile, ma da poco la regione si è adeguata ad una normativa comune che prevede la cucina singola (quella che si usa tutti i giorni e non una dedicata).

Se la definizione e il riconoscimento giuridico a livello europeo è del 2004, la prima microimpresa in Italia arriva nel 2014, con ben dieci anni di ritardo. Da quel momento il fenomeno è esploso e a oggi l’Italia registra il numero più alto di microimprese domestiche e alla fine del 2018 Cucina Nostra ne registra ben 49. Con un 90% di realtà gestite da donne e mamme, spesso con figli piccoli, e con un’età media di circa 40 anni; e i settori di produzione vanno dal cake design alla pasticceria dolce e salata, dalle confetture al pane e ai lievitati.

Da quanto detto finora le imprese alimentari domestiche (IAD) sono imprese a tutti gli effetti, veri e propri laboratori, ma con l’unica differenza che tutto il lavoro si svolge nella cucina di casa propria.  E come tutte le imprese hanno potenzialità, vantaggi e svantaggi.

I vantaggi sono ovviamente di tipo organizzativo: migliore gestione del tempo più flessibile senza dover rendere conto a nessuno, fare un lavoro che piace, dare libero sfogo alla creatività, sostenere spese inferiori rispetto a una classica impresa. Sono sufficienti i soldi per avviare l’attività, le materie prime e la strumentazione. Tra gli svantaggi c’è la mancanza di uno stipendio fisso, infatti come per ogni altro imprenditore il proprio guadagno dipende dalla capacità di stare sul mercato e una grossa limitazione in questo senso è il divieto di esposizione in vetrina (oltre che di somministrazione). Non esiste un laboratorio aperto al pubblico o con passaggio, e questo implica che il nostro micro imprenditore dovrà essere bravo nel gestire il suo marketing, un sito e dei profili social per farsi conoscere oltre a fidelizzare la propria clientela. Si possono però vendere i propri prodotti attraverso canali quali mercati, e-commerce e stand in centri commerciali, e i destinatari possono essere sia privati che negozi, bar e ristoranti.

Importante è sottolineare che il maggior vantaggio lo ha il consumatore. Da un punto di vista normativo, infatti, per la tutela dei consumatori la parte della casa dedicata all’attività è sempre ispezionabile dall’Asl, per verificare il rispetto delle norme igienico-sanitarie, oltre a preconfezionare, etichettare e tracciare i prodotti, specificando la provenienza di ciascun ingrediente.

Per chi fosse interessato all’argomento, ecco qualche indicazione sintetica per capire meglio cos’è e come funziona dal punto di vista giuridico ed economico una microimpresa domestica:

  • La microimpresa domestica alimentare è un’attività di lavoro indipendente.
  • La microimpresa domestica alimentare è una piccola impresa inquadrabile nel settore artigianato, se il microimprenditore svolge l’attività “in misura prevalente, anche manuale, nel processo produttivo.”
  • La microimpresa domestica alimentare è considerata attività d’impresa a tutti gli effetti.
  • La microimpresa domestica va iscritta alla Camera di Commercio.
  • Il microimprenditore da un punto di vista giuridico è un piccolo imprenditore.
  • Il fallimento per un microimprenditore è assai difficile dal punto di vista giuridico.
  • La microimpresa domestica rientra nell’attività d’impresa e non di lavoro autonomo occasionale.
  • La denominazione «piccola e media impresa» (PMI) è una classificazione di tipo economico.
  • La definizione data dal codice civile a proposito del «piccolo imprenditore» identifica uno «status» giuridico.
  • Secondo l’Unione Europea una microimpresa è definita come un’impresa il cui organico sia inferiore a 10 persone e il cui fatturato o il totale di bilancio annuale non superi 2 milioni di euro.