L’enogastromondo oltre lo storytellig con le immagini di Andrea Moretti

Suggerire è creare. Descrivere è distruggere” Queste le parole del grande fotografo Robert Doisneau che prendo in prestito per parlare di fotografia e identità aziendale e ancor di più di storytelling.

Raccontare e raccontarsi per immagini è la cosa più difficile da fare: provate ad usare una sola foto senza alcuna parola che vi aiuti a rafforzare o spiegare un concetto. La foto, se è significativa, parla da sola, dice tutto senza doversi far aiutare da frasi scritte o didascalie, che nella maggior parte dei casi tendono più a togliere che a dare. Oggi, invece, assistiamo ad una inflazione di claim e frasi evocative che si accompagnano a una molteplicità di immagini. C’è quasi un inquinamento grafico e fotografico sul web, in gran parte dovuto ai social che hanno innescato una iper-produzione di scatti di ogni genere.

Saper raccontare è ben altro” – le prime parole di Andrea Moretti, fotografo fiorentino dell’enogastronomondo, come lo chiama lui, che su questo argomento è molto chiaro e a tratti polemico.  “Ci sono foto che parlano, altre che urlano e queste non hanno bisogno di testi accessori. Sono protagoniste assolute del tuo racconto, della tua identità. Questo dovrebbe essere lo storytelling vero, quello fatto sulle immagini. E invece capita spesso di imbattersi in immagini pensate appositamente per determinati contenuti, dove si perde la forza narrativa e qui polemicamente affermo che lo storytelling diventa una triste pratica”.

Quali caratteristiche deve avere una fotografia che possa racconta le aziende e le sue storie?

“Non invento storie, traduco solo o perlomeno ci provo, delle idee in immagini. Cerco di fare il fotografo e basta – puntualizza Moretti – Sono graditi i suggerimenti e le idee, il confronto con le agenzie laddove sono presenti. Per ogni storia che si vuole raccontare il segreto sta nel vivere quella storia. E’ solo vivendo il lavoro di un ristorante, le persone, la sala e la cucina, vivendo la cantina e i suoi momenti di lavorazione, che si riesce a capire. Diventi quasi uno di loro, solamente osservando e cambiando continuamente punto di vista. E’ da questo esercizio pratico di “vita” che poi nasce la sequenza di immagini utili al racconto”.

E di esperienze di vita Andrea Moretti ne ha fatte tante. Fotografo di numerose aziende food, di cantine, di eventi e di chef: Sangiovese Purosangue, Guida Espresso, Slowine, Scuola Intrecci, Castello di Monsanto, Ristorante Pipero a Roma, Pizzeria Ciro Oliva a Napoli, Macelleria Fracassi, Ristorante Lume a Milano, solo per citarne alcuni.

Valfredo Tozzetti, macellaio a Mercatale Valdipesa, in un momento della preparazione della soprassata a Casa Luciana

Sono nato 50 anni fa in un paese in provincia di Firenze. Complice la macchina fotografica di mio padre ferroviere che mi ha sempre spinto al viaggio in sé più che alla metà. Fin da piccolo sono stato attratto prima dall’oggetto gelosamente utilizzato dal babbo, poi sempre più da quel che ne poteva scaturire scattando foto negli anni dell’adolescenza. Complice il mio lavoro nel mondo website e digitale, la fotografia e le immagini mi hanno sempre accompagnato, sia come elemento di gioco e passatempo che come elemento professionale”. Questo è Andrea Moretti, fotografo quasi per caso, come succede sempre a chi riesce poi a farsi guidare dall’istinto e dal talento innato.

Ma come lui stesso sottolinea con la sua parlata fiorentina: “nei miei viaggi e in questo enogastromondo ho sempre cercato il “fattore umano”. La mia ricerca va verso la persona più che verso la cucina in quanto tale, con l’intento di rappresentare il lavoro dell’uomo da un lato e dall’altro cogliere l’idea che può suscitare un piatto e non la mera rappresentazione didascalica del piatto stesso”.                                                                                                  

E infatti quando gli si chiede cosa ami raccontare del mondo e della vita, lui non ha dubbi e risponde di getto: “la gente, con le sue espressioni gioiose, i sorrisi o i dolori. Sono i frammenti di realtà da isolare e in cui isolarsi, quelli fatti di lavoro, di volti e sguardi, di contatto fisico, che alimentano la sua ricerca fotografica. Un percorso in bianco e nero, dove il colore si trasforma in contrasti e la luce regala ancora di più forza narrativa, congelando il momento”. Non a caso è c’è chi lo ha definito “individuatore di momenti perfetti”.

Al posto del piatto nella sua espressività staticamente golosa, Moretti preferisce l’azione, la preparazione, preferisce l’uomo e le sue forme di convivialità che il mondo del cibo riesce a creare intorno a sé. Per lui raccontare un’azienda o un brand significa riuscire a racchiudere in uno scatto una filosofia e una fetta di quella storia (“ah se fossi capace di racchiudere l’intera storia in uno scatto, nemmeno Salgado!”) e lo si percepisce benissimo guardando le sue foto fatte in giro per i ristoranti o i grandi eventi, guardando i volti luminosi e i sorrisi, le pose naturali, le azioni colte al volo.

“Quello che mi piace fotografare nel mondo del cibo e del vino sono le persone e il lavoro delle persone, l’elemento umano deve sempre accompagnare il prodotto. Non potrei mai riuscire a fotografare una bottiglia immobile da sola, mi annoierei. Intorno a quella bottiglia ci dovranno essere degli elementi vivi che rendono vivo il momento”. Il tutto sempre nella cristallizzazione del momento perfetto.

C’è un segreto per riuscirci?

Cerco sempre di instaurare una micro-relazione con quella persona, osservandola e cercando in uno sguardo profondo di conoscerla e rappresentare in quel click la sua essenza”.

E guardando le sue foto è evidente quanto Andrea Moretti ci riesca davvero bene.

Andrea Moretti durante il servizio di Eugenio Boer a EinProsit 2018