La Tognazza, oltre al vino una storia da raccontare

Di storie da raccontare per questa azienda vinicola ce ne sarebbe più di una, perché si parte dal lontano 1969, primo anno di vinificazione del bianco e del rosso di Ugo, oggi divenuti per tutto Tapioco, Come Se Fosse e Antani.  Questa è una storia di 50 anni fa, ma è un racconto senza principi e cavalieri, senza castelli o poderi. È la storia di un attore, uno tra i più grandi che il cinema italiano abbia mai avuto, amante del buon bere e mangiare, così ossessionato dalla cucina che decise di creare intorno alla sua casa di Velletri una campagna, con vigne e uliveti, orti, pollai, serre e chi più ne ha più ne metta per coltivare da sé, ciò che avrebbe poi trasformato in piatti eclettici e originali intingoli.

Lui, Ugo Tognazzi, creò, come ama sottolineare il figlio Gianmarco, un sistema “Ugoistico”, un mondo quasi autarchico dove il “bio” vinceva sui supermercati di allora, l’home made sul consumismo senza intermediari tra produttore e consumatore. All’interno di questa azienda agricola a uso personale, c’era anche la cantina che prese ovviamente il nome di famiglia, ma essendo “cantina” (femminile) nella mente artistica e donnaiola di Ugo il nome mutò subito in Tognazza. Nacquero le prime etichette, rigorosamente fatte a mano dallo stesso Ugo e protagoniste indiscusse delle celebri cene e ritrovi gastronomici di colui che si definiva “un cuoco prestato al cinema”.

A questa prima storia se ne aggiunsero mille altre, perché La Tognazza divenne una fabbrica di grandi storie, aneddoti, ricordi, tutti legati al mondo della cucina, alle ricette di Ugo, ai suoi libri disegnati, alle cene dei dodici apostoli, a quel grandissimo frigo venerato dallo stesso attore, come la cappella di famiglia (così lo definì nell’introduzione del libro L’Abbuffone). Storie che allo stesso tempo travalicano ora la cucina e si fondono con la pellicola cinematografica: attori, registi, sceneggiatori si sedevano a tavola deliziati (alle volte più alle volte meno) dall’estro creativo dello chef Tognazzi, bevendo naturalmente i vini de La Tognazza.

Sentendo parlare Gian Marco Tognazzi, ora a capo dell’azienda insieme al suo socio Alessandro Capria, si intuisce che La Tognazza non è solo un luogo fisico fatto di vigne, botti o bottiglie, ma è un mondo onirico, evocativo, fatto di ingredienti che vivono nell’immaginario collettivo, che prendono forma reale nelle stanze di “casa vecchia”, un posto che somiglia al suo creatore in tutto e per tutto.

Quando l’avventura Tognazza giunse sul mercato, alcuni anni fa, lo fece con una missione chiara e ben definita: non essere il vino di Ugo, ma essere il vino ispirato a quella personalità, a quell’estro. Michel Piccoli definì Ugo Tognazzi un uomo serio per niente serio. Tutto ciò fa parte de La Tognazza, lo si ritrova nella filosofia del brand e nella sua personalità, e così i suoi vini – Tapioco, Come Se Fosse, Antani, Voglia Matta, Casa Vecchia e Conte Mascetti – sono seri nel loro processo produttivo, ma goliardici, irriverenti e indisciplinati nel loro modo di comunicare.

La Tognazza ha successivamente fatto dello storytelling la sua strategia di marketing, ma ovviamente non in un modo classico, ma andando controtendenza, innovando e contribuendo ad una personale rivoluzione nel mondo del vino. Ecco quindi le etichette dai colori vivaci, la grafica moderna, la scelta del fumetto e delle illustrazioni, i nomi, le parole. Queste ultime sono nuove, semplici, dirette, non ereditate dai manuali o dai vocabolari dei sommelier. Sono tutti questi elementi che rendono oggi i vini de La Tognazza un esempio, un nuovo modo di interpretare il vino.  Il vino si spoglia di inutili tecnicismi ed è riportato sul piano del divertimento, di una serata scanzonata tra amici, di una zingarata forse, ma è anche sinonimo di carattere, convivialità, personalità audace e creativa.

Come ci tiene a sottolineare Alessandro Capria: “Dalla vigna alla bottiglia, fino alle etichette e al nostro modo di presentarci e farci vivere, vogliamo essere un’alternativa”.