La Morte si fa Dolce in Tavola

Nel ricordo dei Defunti un Dolce per ogni Provincia. Dal Pan dei Morti milanese alla Colva pugliese.

C’è un periodo dell’anno in cui il ricordo dei cari che non sono più su questa Terra, si fa molto forte. E’ quel “Giorno dei Morti” festeggiato in tutto il mondo, che da luogo ad eventi di grande importanza come i “Dia De Los Muertos” in Messico, passando per le offerte al dio delle tenebre Chinghsu nella festa di Ullambana a Singapore, fino al “Giorno delle Anime” in Brasile o alla “Festa dei Morti” in Guatemala. Ad ognuno di queste grandi manifestazioni è abbinato un piatto della tradizione del posto che, anche in Italia, sottolinea l’importanza della ricorrenza e assume di luogo in luogo un suo significato.

Capita spesso che il cibo aiuti a gestire i nostri tumulti emotivi. Se piangete per amore per esempio, provate a fare incetta di cioccolato e tutto vi sembrerà migliore. Masticare aiuta a non pensare o, al contrario, a pensare in modo più lucido, specie se affondiamo i denti in golosi cumuli di zucchero. E anche se può sembrare macabro a dirsi, durante la settimana dei morti in Italia si fanno grandi scorte di zuccheri, distribuite sulle tavole della penisola sotto pietanze-simbolo di una tradizione dal ricordo distante come la notte dei tempi. Quasi a dire che pregare per i morti e piangere per loro costi tanta fatica, da recuperare subito con dolcezze che alleggeriscono l’anima e riempiono lo stomaco. Per questo i dolci dei morti rappresentano simbolicamente l’offerta dei vivi alla loro memoria, che per la tradizione cristiana ritornano sulla Terra nella notte tra l’1 e il 2 Novembre, ritrovando l’amore del focolare e la tavola imbandita.

E così arriva il “Pan dei Morti” milanese (Pà edi Morcc), seguito dai “Cavalli dei Morti” altoatesini, passando per il toscanaccio “Pan coi Santi”, fino alle “Dita di Apostolo” messinesi o il “Morticiello” napoletano, e ancora le “Ossa dei Morti”, note da Parma fino in Sicilia, che in altre province diventano “Fave dei Morti”, diverse nel nome e nella composizione. E di provincia in provincia giungiamo in Puglia con le “Fanfullicchie” leccesi, seguite dalla Colva o “Grano dei Morti” a nord di Bari. Ed è proprio su questi preziosi chicchi di grano santo che vogliamo focalizzare la nostra attenzione.

“Ogn’ecn d’grein ca’ s’meng, s’salv n’enm”, letteralmente “Ogni acino di grano che si mangia, si salva un’anima”, nella declinazione dialettale biscegliese in questo caso, assume il medesimo significato nei paesi che vanno tra Foggia e Barletta. Sarà forse la vicinanza con i paesi indottrinati dalla liturgia ortodossa ad aver influenzato la tradizione nord-barese? Il grano bollito infatti, è associato a morte e resurrezione nella Chiesa Ortodossa. In Grecia per esempio, il grano era accomunato a Demetra, la dea della Terra, che simboleggiava la vita e trovava il suo opposto proprio nella melagrana, vicina invece alla figura di Persefone, figlia di Demetra. E sono proprio questi due ingredienti (grano e melograno), ad essere insieme il simbolo del ciclo vitale e la base di una ricetta che viene tramandata di generazione in generazione, nel rispetto della commemorazione dei defunti. Un dolce per ricordare i morti che in realtà è un inno alla vita, poichè ogni chicco che trangugiamo corrisponde a un’anima salvata, come recita l’aforisma dialettale di cui sopra. E così, a grano cotto e melagrana, vengono aggiunti pezzetti di cioccolato fondente, mandorle e nocciole tritate grossolanamente, un pizzico di cannella e in ultimo, il dolce viene condito con del vincotto d’uva (o di fichi, se si preferisce maggiore dolcezza), aggiunto un attimo prima di consumare la pietanza, che resterà sulle tavole dei pugliesi per tutto il tempo delle feste commemorative.

Sarà che il ricordo di chi non c’è più porta il cuore sull’orlo di un baratro. Un tuffo nel passato che ci lascia sospesi per qualche secondo. Sarà che l’autunno con i suoi colori e il suo sole mai caldo a sufficienza, ha un sapore così malinconico. Sarà che la colva veniva fatta dalle mani delle nonne che non toccheremo più, ma l’ironia questa volta se l’è portata via la memoria, raccontandovi un pezzo di storia che non può tornare e che (per fortuna) abbiamo il dovere di ricordare.