Il Babà è una cosa seria!

Per la nostra rubrica “Sweet side” oggi ci immergiamo letteralmente nel rhum e nella tradizione partenopea perché il protagonista è il Babà. Sapete che il suo inventore non era napoletano?

Se avete vissuto gli anni ’80 vi ricorderete sicuramente di una buffa quanto adorabile Marisa Laurito che cantava sul palco dell’Ariston “Il Babà è una cosa seria!”, motivetto dal testo teatrale che osannava questo dolce simbolo della città di Napoli. La canzone era alquanto discutibile, ma la lezione era serissima; infatti, “cu’ o babà nun se pazzea” (non si gioca e non si scherza) perché è un dolce che vive di equilibrio tra fragranza della pasta e bilanciamento di zucchero e rhum, nessuno deve prevalere sull’altro altrimenti sarebbe nu burdell, per dirlo alla napoletana maniera.

Se vi capitasse di dare un’occhiata in un laboratorio che li produce, assisterete ad un vero e proprio spettacolo; la pasta del babà viene letteralmente lanciata nello stampo di alluminio con una tecnica e maestria ineguagliabili. Impossibile da descrivere il gesto dei pasticceri, dovete assolutamente vedere come si fa.

Il Babà, Varsavia-Parigi…solo andata.

Lezione di storia, fondamentale come sempre. Siamo nel 1760, l’ex Re di Polonia, Stanislao Leczinsky, arrivò in Francia come rifugiato politico dopo aver perso il trono a seguito di eventi storici, guerre e conquiste. Ma il male non venne per nuocere, infatti, sua figlia venne data in sposa proprio a Luigi XV e Re Stanislao divenne Duca di Lorena.

Per nostra fortuna il Duca era un golosone! Alla fine dei suoi sontuosi pasti però gli veniva servito spesso il “Kugelhopf”, una brioche all’uvetta un po’ secca che proprio non gli andava giù. La storia narra che l’intuito del Duca fu quello di bagnare la brioche con del vino dolce e, con estremo stupore, vide che oltre ad avere un sapore ottimo, la pasta tendeva a gonfiarsi leggermente restando elastica. Lo chef patissier si chiamava Nicolas Stohrer (nome noto ai tecnici del settore) che aggiunse all’impasto dello zafferano per conferire un sapore nuovo, più sofisticato e cominciò ad alleggerire l’impasto rendendolo più burroso, soffice e ricco di uova. Stava nascendo il Babà!

Stohrer divenne il pasticcere della Reggia di Versailles, traslocò e portò con sé la sua creatura dolce. Questo embrionale Babà venne accolto a braccia aperte nello sfarzoso palazzo dove, come ben sappiamo, i peccati di gola erano alla base delle trasgressioni che si nascondevano nella sala degli specchi.

Siamo in Francia, l’abbiamo detto, ed il “matrimonio” con il Rhum fu precoce, proprio perché dalla Martinica francese arrivavano le prime bottiglie di quello che diventerà poi il pregiatissimo Rhum Agricole dei Caraibi, distillato di cui la pasticceria d’Oltralpe farà grande uso anche nei secoli a venire.

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Stoher non è un nome dimenticato.

Nel 1840 il pasticcere esce dai cancelli di Versailles, si mette in proprio e fonda una delle insegne storiche della Parigi ottocentesca.La Maison esiste ancora oggi, di proprietà della Famiglia Dolfi, si trova al 51 di Rue de Montorgueil, non lontana dal Louvre, ed è la depositaria della ricetta originale del Babà francese. Viene sempre citata come la “plus ancienne patisserie de Paris”, sinonimo di questa boutique del dolce ormai conosciuta in tutto il mondo. I luoghi storici, si sa, non sempre brillano sotto i riflettori, ma Storher ha ritrovato negli ultimi anni una luce nuova. Sotto la guida magistrale dello Chef Patissier Jeffrey Cagnes, questa pasticceria ha beneficiato di un restyling nella presentazione dei dolci, nel totale rispetto della classicità e della tradizione guardando al futuro.

Da Versailles fino alle pendici del Vesuvio: il Babà diventa napoletano!

Il Babà parte dalla città dagli stucchi dorati e arriva tra i vicoli di Napoli, meravigliosamente popolare e nobile allo stesso tempo. Anche qui: galeotto fu un matrimonio! La sposa di Re Ferdinando I di Borbone era Maria Carolina d’Austria, sorella di Maria Antonietta. Quando la sofisticata dama arrivò a Napoli, non gradì particolarmente il tipo di cucina che veniva servita, un po’ troppo grezza per i suoi gusti; chiese così alla sorella di inviarle i suoi chef francesi per istruire i cuochi della corte Borbonica. A volte venivano spediti anche i cuochi italiani in Francia per imparare l’arte dai prestigiosi chef delle famiglie nobili. Possiamo dire che nascono i primi “stage” ma soprattutto nasce una figura professionale mitica: il Monsù. ().

‘o Monzù, il termine nasce storpiando la parola monsieur che in dialetto diventa monzieur. Il Monsù, quindi, non era solo un cuoco, era “Il cuoco” che aveva imparato dai francesi, dunque il top! Sfiorava quasi il titolo nobiliare ed era un vanto per chi ne aveva uno nella propria cucina. Oltre alle pietanze salate, come non citare il gateaux di patate che diventa ‘o Gattò, questi nobili cuochi introdussero anche il mitico Babà nella tradizione partenopea.

Come cambiò il Babà? Sparì l’uva passa e si portò dietro il Rhum, ma soprattutto cambiò la forma, e proprio a Napoli viene coniata la tipica forma tipo tappo di sughero che tutti conosciamo.

Cosa sappiamo sul nome di questo dolce mitico?

Nome curioso sicuramente, gli storici della gastronomia lo hanno associato alla parola polacca babka, che significa nonna (forse a voler ricordare un dolce preparato dalle nonne?) ma il Babka è anche un dolce tradizionale della Polonia. L’impasto di questo dolce non è proprio uguale a quella del Babà, ricorda più una brioche molto farcita di frutta secca o semi di papavero. Altre fonti storiche raccontano che fu lo stesso re Stanislao a coniarne il nome, lasciandosi ispirare dalle sue fiabe preferite: i racconti de “Le Mille e una notte”. Pare che scelse proprio il nome del personaggio emblematico di quei racconti, Alì Babà.

Nessuno dimentichi il Savarin!

I pasticceri (francesi) Jullien studiarono nel 1845 una nuova veste per il Babà: gli venne data una forma a ciambella che poteva essere farcita al centro di frutta e creme, dalle dimensioni più grandi, adatto così a sontuosi buffet e banchetti. Il nome scelto, per questo fratello del babà, fu quello di un grande gastronomo francese di quel tempo: Monsieur Brillat Savarin.

Si può preparare un buon Babà a casa? Certo che si!

Sarebbe preferibile avere una piccola planetaria per impastarlo in maniera corretta, trovare una ricetta da un ricettario semi professionale e, ovviamente, scegliere ingredienti di qualità eccelsa, in primis il burro e le uova. Il Babà ha una lavorazione molto delicata, quindi è bene seguire tutte le indicazioni date nella ricetta e se i primi esperimenti saranno poco soddisfacenti, sarà bene non mollare e perseverare fino ad ottenere un risultato top!

Come diceva Pellegrino Artusi: “questo è un dolce che vuol vedere la persona in viso, cioè, per riuscir bene, richiede pazienza ed attenzione”.