Nuovo appuntamento con il nostro tecnologo alimentare, che ci porta lungo le corsie del supermercato alla scoperta dei vari prodotti. Una guida pratica per orientarsi nella spesa e chiarire qualche dubbio. In questo articolo si parla di grani antichi e dei prodotti derivati.
Con il termine grani antichi si va a far riferimento a tutte quelle varietà di grano (appartenenti al genere triticum) che nel corso degli anni sono caduti sempre più nel dimenticatoio dando spazio a varietà sempre più produttive e che maggiormente si adattassero ad ambienti ubiquitari di coltivazione.
Nel tempo l’uomo ha sempre cercato di sfruttare al massimo il suolo di coltivazione e anche nella ricerca agronomica negli anni si è sempre andato a ricercare le varietà di grano che dessero maggiori performaces come ad esempio:
- Maggior resa in raccolta
- Maggior resa in macinazione
- Maggior facilità nella coltivazione
- Maggiori resa tecnologica e quindi di lavorazione e aspetto nel prodotto finito.
Quello che nel tempo l’uomo ha “dimenticato” a scapito della produttività è proprio la biodiversità che oggi tanto si decanta. Ogni terreno della nostra penisola è un “unicum” di composizione del terreno di clima e microclima e in molti di questi habitat che questi grani definiti “antichi” hanno avuto il loro sviluppo e si sono fatti conoscere dalle comunità locali. A causa però della loro “scarsa” produttività sono stati sempre meno coltivati. Basti pensare che in media varietà “moderne” di grano hanno resa di 80 quintali per ettaro. Con queste varietà di grani antichi si ha rese di 15/20 quintali per ettaro massimo.
Stesso discorso parallelo a quello agronomico è stato quello tecnologico inteso come lavorazione degli sfarinati derivanti da questi grani.
Il consumatore è stato abituato negli anni a ricercare pani e prodotti di panificazione bianchi candidi, con sviluppo omogeneo di una mollica soffice e spugnosa e una crosta dorata e sottile. Anche questo ha sempre più portato un vero e proprio appiattimento del “bello alla vista” e al gusto. Nel contempo il panificatore è andato sempre più alla ricerca di farine “facili da lavorare” di facile reperimento sul mercato e che permettesse anche in fase di lavorazione forme perfette, sviluppi del prodotto in cottura importanti. Va da se che con il passare dei decenni “ il grano locale” ha lasciato il posto a varietà sempre più standardizzate e ubiquitarie.
Oggi più che mai in ottica sempre più green e km 0 si è ritornati a parlare di territorialità, di riscoperta dei tesori agricoli autoctoni, va da sé che anche il grano, da sempre alimento principe nell’alimentazione mediterranea ne è stato coinvolto.
Ricchezza e biodiversità dei grani antichi
Di questa categoria fanno parte diverse varietà di grani appartenenti sia a grani teneri che a grani così detti duri: Solina Abruzzese, Verna, Gentil Rosso, Minorca per citare qualche varietà di grano tenero e Timilia, Saragolle, Marzulo, Senatore Cappelli per citarne qualche varietà di grano duro. Altro appartenente a questa categoria di grani così detti “antichi” è il grano Khorasan (Triticum Turgidum ssp.) conosciuto comunemente anche con il marchio commerciale Kamut. Sono solo alcuni dei grani che appunto rievocano tempi passati, antiche lavorazioni e contestualmente alimentazione sana. Ma è davvero così?
Quello che è certo è che la posizione geografica della nostra penisola ci ha nei secoli regalato la possibilità di avere una biodiversità pazzesca e quindi allo stesso tempo una varietà di alimenti veramente unica al mondo ed è giusto, oggi più che mai, riscoprire le origini e valorizzare i territori e le bontà che offrono.
Aspetti nutrizionali e plus dei grani antichi
Se ne sentono di ogni sui grani antichi e delle loro proprietà. Il tam tam mediatico e il marketing poi fanno il resto, attribuendo a queste tipologie di grani proprietà che nella realtà non esistono. Quello che ci troviamo davanti sono esattamente dei grani teneri e dei grani duri dal punto di vista nutrizionale che quindi apportano al nostro organismo amidi, zuccheri, proteine (principalmente glutine) fibre e vitamine soprattutto se consumati nella loro interezza (chicco integro o farina integrale).
Ci sono studi in corso che dimostrerebbero il plus di alcuni di questi grani antichi proprio per il più basso contenuto in gliadine e glutenine rispetto alle varietà tradizionali di grano e quindi la possibilità di essere maggiormente consumate da persone che hanno sensibilità al glutine (non celiachia attenzione!). Tuttavia resta il fatto che nonostante la diversa composizione proteica non sono assolutamente adatti da chi è affetto da celiachia e che deve consumare in maniera categorica alimenti privi di questa proteina.
Il vero plus a mio avviso non è da ricercare né nelle caratteristiche nutrizionali né in fantomatiche proprietà benefiche. La realtà è che far tornare gli agricoltori locali a coltivare queste varietà di grano valorizzando e remunerando adeguatamente con piani di incentivi, ci riporterebbe a riscoprire la vocazione delle singole zone rurali. Valorizzare la biodiversità territoriale e sviluppare sempre più quella rete di economia a km 0 che tanto farebbe bene in ottica di impatto ambientale e in termini economici su tutto il comparto legato ai costi di trasporto e trasformazione della materia prima. Allo stesso tempo un inserimento di varietà autoctone all’interno della panificazione/pastificazione nazionale porterebbe il consumatore a tornare curioso nello scoprire nuovi gusti legati a storie di agricoltura a km 0 legate al territorio di origine. E’ qui che a mio avviso che si deve ricercare e si può giustificare (in parte) il gap di costo della materia prima rispetto a varietà a più alta produttività. Riscoprire il cibo non solo come nutrimento del corpo ma anche come patrimonio culturale di cui arricchirsi attraverso la riscoperta delle sue origini.