Lo stop alle esportazioni dai Paesi dell’Est Europa di prodotti largamente utilizzati nel settore alimentare, in primis del grano, a causa dell’invasione russa in territorio ucraino, ha destato non poche preoccupazioni, soprattutto in Italia. Abbiamo cercato di illustrare alcune delle misure messe in campo nel nostro Bel Paese per contrastare la crisi.
Due dei cinque principali paesi produttori mondiali di grano, come avrete già letto su diversi giornali di recente, sono l’Ucraina e la Russia. L’aspro conflitto di queste settimane ha rischiato e rischia tuttora di aggravare la malnutrizione in diverse regioni del mondo. La carenza di materie prime fondamentali per l’industria alimentare e il rincaro energetico, oltre ad una pandemia appena passata, sono stati e continuano ad essere elementi di forte preoccupazione in special modo anche in Italia.
Importazione italiana e mancata tutela degli agricoltori
Negli ultimi decenni, le speculazioni commerciali del settore agroalimentare hanno portato sempre più il mercato italiano verso l’importazione in larga scala di materie agricole aumentando la dipendenza dall’estero. Ad oggi il “Bel Paese” importa il 64 per cento del grano per il pane, il 44 per cento di quello necessario per la pasta, ma anche il 16 per cento del latte consumato, il 49 per cento della carne bovina e il 38 per cento di quella di maiale, senza dimenticare che con i raccolti nazionali di mais e soia, fondamentali per l’alimentazione degli animali, si copre rispettivamente appena il 53 per cento e il 27 per cento del fabbisogno italiano.
La mancata tutela e i bassi compensi riconosciuti agli agricoltori hanno portato gli stessi a ridurre di quasi un terzo la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni, e di 1 su cinque di grano, perdendo così quasi mezzo milione di ettari coltivati. Stando ai dati Ismea, Coldiretti afferma che per ogni euro speso dai consumatori in prodotti alimentari freschi e trasformati appena 15 centesimi vanno in media agli agricoltori. E ad essere tra le più penalizzate troviamo le coltivazioni di cereali, dal grano al mais.
Nonostante però le previsioni non fossero delle migliori, il prezzo del grano di quest’ultima settimana è sceso del 10 per cento, ritornando ai valori minimi da inizio marzo (9,84 dollari per bushel -27,2 chili). Il calo è proseguito anche oggi facendoci sperare in una svolta sul fronte dei prezzi. Che sia frutto di prospettive di fine della guerra o una semplice fluttuazione della speculazione, bisogna intervenire proattivamente e valorizzare le nostre risorse in tempi rapidi.
La risposta di Puglia e Calabria
Le regioni che hanno preso subito posizione sono state Puglia e Calabria che grazie al via libera dell’Unione Europea, hanno proposto una risposta pragmatica alle difficoltà di approvvigionamento causate dalla guerra in corso in Ucraina, garantendo la messa a coltura dei grani antichi, dal Senatore Cappelli al Gentil Rosso. La Regione Puglia ha varato il nuovo bando per l’avviamento di imprese per i giovani agricoltori, stanziando 55 milioni di euro per finanziare circa 1.100 nuovi insediamenti. Le superfici seminate, secondo Coldiretti Puglia, potrebbero raddoppiare già a partire dalla prossima stagione, “con la produzione di grano che deve puntare sull’aggregazione, essere sostenuta da servizi adeguati e tendere ad una sempre più alta qualità, scommettendo esclusivamente su varietà pregiate, riconosciute ormai a livello mondiale”.
Anche la Giunta regionale della Calabria, presieduta da Roberto Occhiuto, su proposta dell’assessore all’Agricoltura Gianluca Gallo, si è impegnata ad attuare provvedimenti utili a fronteggiare la contrazione dell’offerta di cereali sul mercato italiano. La sensibile riduzione la disponibilità di cereali e la bassa produzione italiana che copre solo il l 50% del fabbisogno, ha portato la Giunta calabrese a deliberare un piano di reperimento di terreni seminativi o con vocazione seminativa, al fine di promuovere l’autosufficienza della produzione calabrese e sostenere così anche il livello della produzione nazionale, al fine di favorire un aumento della produzione interna.
Il progetto Granaio Italia
Un’altra speranzosa notizia arriva dal Mipaaf, grazie al decreto firmato dal ministro Stefano Patuanelli per avviare il progetto “Granaio Italia”, un registro telematico dei cereali con lo scopo di monitorare le produzioni nazionali. Un sistema in grado di stabilire le modalità operative per la rilevazione dei flussi di carico e scarico inerenti ai quantitativi di cereali e di farine di cereali detenuti a qualsiasi titolo dagli operatori delle filiere agroalimentari. Il registro assume ancora più importanza in un periodo come quello attuale, caratterizzato da possibili criticità negli approvvigionamenti e soprattutto dalla volatilità nei prezzi. I destinatari delle norme saranno le imprese agricole, cooperative, consorzi, imprese commerciali, imprese di importazione e, limitatamente alle operazioni di carico, le aziende della prima trasformazione. Le registrazioni saranno effettuate dagli operatori che detengono, acquistano, macinano, vendono un quantitativo del singolo cereale o farina, superiore a 30 tonnellate annue in ambito nazionale, dell’Unione europea o nei mercati internazionali. Si partirà con una fase sperimentale volta a verificare l’effettiva operatività, che si protrarrà fino al 31 dicembre 2023 (periodo nel quale non saranno previste sanzioni).
Crisi Ucraina, effetti a catena sulla filiera agroalimentare
Il progetto Pasta Live
Nel panorama italiano troviamo sempre più start up innovative dedite alla riqualificazione e valorizzazione del territorio, tra queste, come non citare PASTA LIVE, il primo progetto volto a realizzare pasta da grano duro italiano coltivato senza aratura.
Un’iniziativa nata nel 2019 per sensibilizzare l’opinione pubblica sul delicato argomento della conservazione del suolo agrario al fine di applicare pratiche agricole più sostenibili per il pianeta. Ebbene sì, una proposta innovativa, incentrata alla conservazione del suolo per preservarne la fertilità e biodiversità, affinché i raccolti del futuro non scarseggino e non perdano qualità. La degradazione del suolo è dovuta principalmente alla tecnica dell’aratura che provoca erosione superficiale e contribuisce in modo determinante alla desertificazione.
“L’Italia è la prima produttrice di pasta al mondo. Ad oggi importa la metà circa del fabbisogno di grano ma se non provvede a tutelare il suolo tra 30/40 anni sarà costretta ad importare il 100% del suo fabbisogno. Il suolo agrario sta morendo, siamo chiamati alla sua conservazione iniziando da oggi, con un percorso che potrebbe portare risultati validi tra 20/30 anni” dichiara Lino Falcone, biologo “grano cultore”, esponente dell’Associazione Ambientale Terra Cibo e Cultura. “Ogni anno le arature vanificano i cento anni di lavoro che la natura impiega per costruire un suolo fertile e ricco di biodiversità. Da un suolo vivo dipende la vita del Pianeta. FAO sottolinea 6 vantaggi derivanti da un suolo vivo: cibo sano, biodiversità, contenimento dei gas serra, contenimento delle migrazioni forzate, acqua pulita, medicine per la salute umana” specifica Falcone.
Queste sono solo alcune delle valide iniziative che stanno sorgendo in contrasto alla crisi. Che sia questo il momento giusto per valorizzare le eccellenze del nostro paese puntando a progetti concreti e sostenibili?