Lungo via di Torre Clementina, nel centro storico di Fiumicino a Roma, c’è un progetto che incuriosisce e che richiede una sosta. Siamo da Osteria dell’Orologio, una cucina territoriale che dialoga con contaminazioni creative, dove la mano dello chef Marco Claroni gioca con originalità raccontando una storia. La sua.
L’offerta gastronomica di Fiumicino
Fiumicino si conferma una destinazione gastronomica importante sul litorale laziale, un’oasi dove il tradizionale legame con la pesca trova sempre più valore nella creatività contemporanea di alcuni cuochi (e non solo), con l’obiettivo di valorizzare il territorio e far crescere il tessuto sociale. Un patrimonio, nel suo insieme, che merita di essere scoperto con attenzione. U tempo c’era solo Pascucci al Porticciolo, poi qualcosa è cambiato e Osteria dell’Orologio, con Marco Claroni e sua moglie Gerarda Fine, è stato uno dei primi indirizzi a rivoluzionare una cittadina conosciuta solo per l’aeroporto internazionale che ospita. La sede del ristorante si trova in un palazzo ottocentesco, ristrutturato e modernizzato dall’architetto Luca Bruno. All’esterno una veranda permette di aggiungere qualche coperto e mangiare con la brezza marina che ti accarezza. L’atmosfera interna è elegante ma non troppo formale. Ferro ossidato, legno di recupero e mattoni a vista la rendono una location suggestiva, ideale per vivere un coinvolgimento autentico in un contesto storico. La mise en place è minima e coerente con l’identità del progetto. Il servizio è veloce, anche se con qualche piccola dimenticanza.
L’esperienza a tavola con Marco Claroni
Una delle iniziative più distintive di Marco Claroni è la macelleria di mare, grazie alla quale nascono salumi e stagionati del pescato quotidiano. Il menù propone sia la scelta alla carta, sia tre percorsi degustazione. Il primo composto da 6 portate (65€); il secondo chiamato “libera-mente” nel quale compaiono anche gli affumicati di mare (90€) e infine “tutto il tonno” che valorizza ogni parte del tonno (95€). Tutti sono legati da uno stile tecnico raffinato, capace di esaltare gli ingredienti marini con sensibilità e dove qualche influenza orientale trova armonia con le radici mediterranee di Fiumicino.
Le prime portate sorprendono per varietà e lavorazione della materia prima. Una Ceviche di ombrina e gamberi al fumo di brace porta acidità, affumicatura e grassezza al palato. Una Ricciola servita con carota e bieta viene legata dal miso, che unisce l’amaricante e la dolcezza vegetale alla componente marina. A seguire il Polpo bbq con yogurt e scapece di melanzane rivela la freschezza del cefalopode, cotto benissimo, tra i vari punti di acidità. Curiosa la Triglia, accompagnata da un tabbouleh fresco e speziato e un estratto thai dalle note agrumate. Un piatto gratificante.


Per la parte dedicata al tonno, lo chef propone un otoro in stile arrosticino, un midollo di tonno alla brace morbido, gelatinoso e intenso – e uno spiedino di ombrina con le sue interiora. Una portata audace ma perfettamente riuscita, con elementi che rimandano alla reinterpretazione delle tecniche di maturazione applicate al pescato locale. Lo spaghetto “Mancini” all’acqua di pomodoro, telline, friggitelli e croccante di basilico ricorda quanto siano importanti la semplicità e la precisione. Tra i secondi, una cernia alla brace, pil pil di soasi, tartufo estivo e foglie di cappero: una leggera affumicatura dona profondità, mentre la salsa, unta ma bilanciata, è vivacizzata dalla nota minerale delle foglie. Viene servita con frontale di tonno, mandorle, yogurt e carote. Il frontale è una parte della testa ricca di collagene, morbida e saporita, bilanciata dalla crema acidula dello yogurt.
In chiusura, una brunoise di verdure e frutta con sorbetto al lampone e cioccolato bianco ripulisce il palato e ci accompagna verso il Danubio con crema allo zabaione setosa, seguita da caffè e biscotteria. Coccole ovunque per finire.


La versatilità di Marco Claroni
Ciò che caratterizza Osteria dell’Orologio è la capacità di Marco Claroni di inventare un proprio linguaggio: una cucina dove ogni piatto è attraversato da un elemento vegetale che valorizza lavorazioni tecniche precise. Il sapore è un insieme di componenti di gusto dosate. Gli sprechi non sono contemplati. Lo chef lavora la materia prima nella sua totalità. Una filosofia di recupero in cui si prende dalla terra e dal mare per restituire non solo gusto, ma valore. Gerarda Fine, sommelier e moglie dello chef, propone una carta dei vini contenuta, ma divertente e ben centrata sulla cucina. Una figura piacevole in sala alla quale risulta un agio affidarsi per tutto.
In questo ristorante la creatività e il sorriso si fondono, il mare si sente, ma non invade.





