Uno dei motivi per i quali gli stranieri scelgono ogni anno il nostro Paese per trascorrere le vacanze – oltre alle bellezze naturali, alla storia e al clima – è il cibo. Il problema per queste orde di turisti, tuttavia, è la scarsa conoscenza di tutto ciò che costituisce la cucina italiana, ma anche la mancanza di informazioni sulle nostre abitudini quando dobbiamo fare colazione, pranzare, cenare o decidiamo di prendere un aperitivo. Questo si palesa in una serie di consuetudini discutibili e talvolta ai limiti della maleducazione che gli stranieri praticano una volta arrivati in Italia. E questa insipienza l’hanno capita da un pezzo alcuni ristoratori delle principali località turistiche i quali – conoscendo i ‘polli da spennare’ – propongono una cucina genericamente italiana fatta di piatti-caricatura, pizza ai limiti dell’immangiabile, fiumi di spritz annacquati, cappuccino a tutte le ore e conti stratosferici.
Errori dei turisti a tavola
Ecco quindi la seconda e ultima parte degli errori – ma si potrebbe facilmente definirli orrori – che i viaggiatori stranieri commettono nei confronti della cucina italiana e delle nostre abitudini alimentari.
PEPE, TABASCO E OLIO QUANTO BASTA. Quando siamo al ristorante o in pizzeria difficilmente ‘aggiustiamo’ la pietanza che ci arriva al tavolo. Il piatto o la pizza che abbiamo ordinato è buona così com’è stato preparato in cucina o com’è uscito dal forno. Alcuni stranieri, inspiegabilmente, amano aggiungere pepe alla pasta o tabasco, sale e ancora pepe alla pizza, con il risultato di rovinare la pietanza e alterarne il sapore originale.
PARMIGIANO DAPPERTUTTO. È opinione diffusa, ovviamente falsa, che noi italiani amiamo aggiungere formaggio duro grattugiato, all’estero classificato genericamente come ‘PARMESAN’, su tutti i piatti di pasta. Compresi negli spaghetti alle vongole o nelle linguine allo scoglio.
L’ABITO FA IL MONACO. E NON SOLO… Va bene che in vacanza ci si veste con un abbigliamento comodo e l’estate in Italia non è paragonabile al clima nord europeo o di alcuni stati settentrionali americani, ma presentarsi al ristorante come un bagnino in canotta, pantaloncini e ciabattine o in pareo per le signore, proprio no. Per rispetto del personale del ristorante e degli altri clienti (a maggior ragione se italiani).
AGLIO (QUASI) DAPPERTUTTO. Quando il cibo italiano divenne noto per la prima volta negli Stati Uniti, un secolo fa, la cucina americana era piuttosto insipida. La prima ondata di immigrati italiani nel Nord America, principalmente da Napoli e dal Sud Italia, utilizzava molti ingredienti che non erano comuni laggiù, come olio d’oliva, pasta e, sì, un po’ di aglio. Per il palato americano, qualcosa come gli spaghetti aglio e olio era così strano e dal sapore così forte che questo bulbo rimase impresso nella loro immaginazione e divenne un simbolo della cucina italiana nel suo insieme. Lo stesso dicasi per l’aggiunta di aglio in polvere sulla pizza. Sono vecchi stereotipi, ma che persistono ancora oggi.

MANGIARE SEDUTI (…SUGLI SCALINI). Senza timore di essere tacciato, giudico mangiare e bere seduti sugli scalini di qualche edificio, chiesa o monumento di valore artistico una forma di maleducazione e una mancanza di rispetto. Per limitare questo fenomeno in termini di decoro e di sporcizia, le amministrazioni comunali di alcune località turistiche da qualche anno hanno iniziato a punire i turisti più indisciplinati con multe in alcuni casi esemplari. ‘Toccare’ le persone nel portafoglio ‘paga’ sempre…
MANGIARE (O BERE) CAMMINANDO. Un’altra deprecabile consuetudine da parte di alcuni stranieri è quella di vagare per le città d’arte addentando un panino o sorseggiando da una bottiglia, da una lattina o ancora peggio, da un bicchiere. A parte la maleducazione, deambulando risulta difficile assaporare appieno un alimento o una bevanda.
PIATTI ‘CARICATURA’. Un tempo gli americani sostenevano, a ragion veduta, che i ristoranti con il panorama migliore erano quelli con la peggiore cucina. E chi, allora, approdando a Roma, Firenze, Venezia, Milano o Pisa non vuole sperimentarne i piatti bandiera nella loro versione magistrale? Per soddisfare questo ‘obbligo’, bar e ristoranti sono spuntati come funghi dopo un acquazzone estivo pedemontano proponendo, furbescamente, spaghetti – l’unico formato di pasta conosciuto dagli stranieri – alla carbonara, cacio e pepe, alla bolognese, all’amatriciana. Da Aosta a Trapani, isole comprese.
PESCE E VINO (ANCHE GHIACCIATO). La scelta del vino per accompagnare il pesce è una questione di equilibrio e valorizzazione dei sapori. Semplificando all’estremo: si vini bianchi, mai vini rossi (salvo rarissimi casi). Ogni preparazione di pesce, che sia cruda, al forno, fritta o grigliata, ha il suo vino ideale. Tutto si può abbinare col pesce ma la scelta del colore e, di conseguenza, della tipologia di vino dipende da diversi fattori. Il più importante resta ovviamente la tipologia di pesce, perché è il vino che si abbina al cibo e non viceversa. E poi, il calice di vino bianco nel quale galleggiano alcuni cubetti di ghiaccio o la bottiglia di vino rosso da frigorifero sarebbe già passibile di vilipendo alla nostra cucina. Con buona pace di alcuni camerieri e ristoratori che per ‘quattro denari’ proporrebbero (e racconterebbero) di tutto…

PIZZA E VINO ROSSO. Con la pizza meglio un vino rosso o bianco? Per molti stranieri è una questione che non si pone. Basta che sia vino… In ogni caso dipende dagli ingredienti utilizzati per guarnirla e, in seconda battuta, anche dei gusti personali di ciascuno. L’abbinamento in generale del cibo con il vino è senza dubbio un argomento delicato: è difficile stabilire delle vere e proprie regole in un ambito in cui le preferenze individuali hanno la loro importanza.
E l’aragosta a colazione citata nel titolo? C’entra eccome! L’ho gustata il mese scorso in occasione del mio recente soggiorno a New York. L’ultimo giorno, prima di rientrare in Europa, ho voluto assaggiare la celebre aragosta di Burger & lobster. Ovviamente il mio insolito pasto si è limitato alla Classic Whole Lobster, un’aragosta intera canadese bollita servita con un contorno di patate fritte, il tutto “annaffiato” – si fa per dire, considerato l’orario e l’alimento scelto – da una Coca-Cola. Con il senno di poi è stata un’esperienza gastronomica rimarchevole: l’aragosta era semplicemente squisita, ma che probabilmente non ripeterò in futuro. Lascio volentieri ordinare i crostacei a colazione e il cappuccino a fine cena agli americani. A patto che “consumino” sempre a casa loro…