Spezzare il pane, ricucire il mondo. Nel 2025 la ricorrenza della Giornata Mondiale del Pane profuma di promessa di pace.

C’è un profumo che ti avvolge, ti riporta a casa anche se sei lontano: è il profumo dell’attesa, della pazienza, del tempo che fa il suo corso e diventa nutrimento per corpo e spirito. Il 16 Ottobre si celebra la Giornata Mondiale del Pane, e ogni anno sembra più urgente ricordare il suo significato simbolico, non solo la bontà di una crosta fragrante o la nostalgia delle cucine di un tempo, ma perché il pane da sempre, oggi più che mai, ha qualcosa da dirci senza il bisogno di parole. Si offre, si spezza, si condivide. Nel suo linguaggio universale e in tutte culture, porgere il pane a qualcuno significa dire: “non temere, sei il benvenuto”.

Ci piace pensare che, in un mondo attraversato da guerre e confini sempre più fragili, questo gesto antico sia una forma di resistenza gentile. Un atto di fiducia, di umanità, mentre gran parte del grano viaggia da Paesi in conflitto e i forni si accendono in un’Europa che osserva le frontiere tremare, questo simbolo antico torna a parlarci.

Il pane come simbolo di pace

La Giornata Mondiale del Pane cade in concomitanza con quella dell’Alimentazione istituita dalla FAO dal 1981. Panettieri, chef e appassionati di ogni angolo del mondo si riuniscono fisicamente e simbolicamente a ricordare che ogni pane ha il suo accento: il sonoro carasau sardo, il pugliese dorato, il toscano senza sale, l’avvolgente Pita, il morbido e imburrato Naan, la grande crêpe spugnosa di farina di teff, usata come piatto e posata insieme che è l’Injera etiope, di mais, di riso, di farine di semi selvatici; cambiano le forme, le consistenze, le storie, ma la sostanza è la stessa: mani, farina, acqua e calore. È anche una dichiarazione d’amore per chi lavora la materia prima e restituisce dignità ai gesti che nutrono, è una celebrazione vera, un rito collettivo che parla di territorio, impegno e identità.

Il pane non è solo una metafora di pace: è un mestiere vivo. I forni sono luoghi semplici, ma tenaci: da sempre nella storia, piccoli presìdi di umanità che resistono al rumore del mondo. Perché anche quando tutto vacilla, c’è chi continua a impastare e nel gesto di spezzare il pane, c’è forse il modo più antico e più vero di ricordarci da che parte stare. In un quartiere popolare o dietro un’insegna storica del centro, nelle metropoli o in provincia, il pane che si sforna ogni giorno racconta una storia, quella della continuità, della fiducia, della vita che va avanti.  

I nuovi fornai, custodi dell’arte del pane

Il forno come microcosmo che profuma di normalità, artigiani che continuano a credere nel gesto semplice che è custode di un bene universale ben più prezioso, come Zampa, il Forno Etico che considera il pane un gesto quotidiano, nel cuore del popoloso quartiere Tuscolano di Roma, diventato in poco tempo un punto di riferimento per chi cerca un pane che sappia di casa, che duri nel tempo e che custodisca il valore degli ingredienti e delle mani che lo lavorano. Un laboratorio aperto sul quartiere, senza barriere architettoniche tra banco e impasti, con un cortile che accoglie chi vuole fermarsi per una colazione, un pranzo o una merenda. Giacomo Carlizza e Selenia Sacchetti, compagni di vita e di lavoro dialogano con il quartiere attraverso il loro laboratorio, così pane, cornetti, focacce e dolci diventano un modo di condividere tempo e gesti semplici, riportando l’attenzione sulla materia prima, sulla lentezza e sulla cura, per questo alcuni pani hanno una cadenza fissa, altri compaiono solo in determinati giorni della settimana; è un modo per rispettare i tempi del lievito, valorizzare la varietà delle farine e offrire un appuntamento costante a chi vive il quartiere.

E quando la crosta si rompe e il profumo si libera, è come un piccolo brindisi alla vita semplice, sincera, condivisa. Questo è l’entusiasmo con cui Viviana Falciano ha intrapreso il viaggio del suo Microforno VivyBakery dalla frenetica Capitale alla provincia apriliana, dove le difficoltà di emergere non sono poche. Se il pane rappresenta il primo atto rivoluzionario, politico e universale, Viviana ne è la Marianna contemporanea; in dolce attesa, con la determinazione e l’intensità che solo una donna e futura madre può rilasciare, contemporaneamente ha nutrito suo figlio, il suo primo lievito madre e iniziato un’impresa domestica. Si trasferisce nel 2024 nel suo micro locale, da sola, ad impastare, sperimentare e portare avanti un’attività che oggi a pochissimo tempo dall’apertura, include altre due donne, riconoscimenti di rilievo e collaborazioni con realtà locali per la valorizzazione della scelta consapevole e del rispetto di una filiera del pane in cui sono coinvolti diversi attori locali: all’agricoltore al mugnaio che stocca il grano, monitorando insieme i grani di varietà, custodi di biodiversità e sapori dimenticati, che salvaguardano la biodiversità del territorio locale.  

La Giornata Mondiale del Pane

Guardando queste realtà allora penso che celebrare il pane il 16 ottobre non sia una sporadica ricorrenza, ma un modo per ricordarci che è la fame di pace, la voglia di costruire, il rispetto per la terra che ci tiene ancora insieme, nonostante tutto. Una piccola parola di 4 lettere capace di attraversare secoli e tavole per coincidere con le 4 di quella per realizzarla: “cura”, un’azione che nasce da un’intenzione che sembra rivoluzionaria, in un mondo che consuma in corsa senza masticare davvero. La Giornata Mondiale del Pane serve a ricordare lo sforzo globale necessario per combattere la fame e promuovere sistemi alimentari sostenibili; da Organizzazioni come l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura alle piccole panetterie alle grandi aziende industriali, questo piccolo ma universale alimento offre opportunità di lavoro, sostiene le economie locali, ha un impatto economico. Quindi, mentre addentate una fetta di pane in questa occasione, prendetevi un momento per apprezzare la storia, l’artigianalità e l’impatto globale che questo prezioso alimento rappresenta. Il 16 Ottobre ci ricorda che forse dovremmo tornare lì, ad aspettare per poi condividere. È un promemoria gentile che ci ricorda che l’unico ritmo da seguire è quello della terra, se vogliamo riscoprire ciò che ci accomuna.

Finché ci saranno mani che lavorano la farina e persone disposte a sedersi insieme, il pane continuerà a essere come una promessa, un gesto semplice in un pensiero grande, un modo per dire che la pace, a volte, comincia da un morso.

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