“La filiera della pizza napoletana per il Made in Italy”: se n’è parlato nell’ultima edizione di TuttoPizza. Ma cosa significa veramente Made in Italy?
Lo scorso 20 maggio nell’ambito dell’ottava edizione di TuttoPizza, il salone internazionale della pizza dedicato agli operatori del settore lungo tutta la filiera si è svolto il convegno dal titolo“La filiera della pizza napoletana per il Made in Italy” e noi incuriositi e interessati dall’argomento abbiamo partecipato, ma ne siamo usciti con un po’ di interrogativi.
I temi, affrontati ciascuno da un docente diverso afferente al Dipartimento di Agraria dell’Università di Napoli Federico II, sono stati i seguenti: la pizza nel rinascimento del turismo napoletano, l’innovazione e la valorizzazione nel settore agroalimentare del Made in Italy, la certificazione dei prodotti agroalimentari per la valorizzazione del Made in Italy, la sicurezza del Made in Italy e la sostenibilità della produzione di grano tenero.
I temi dell’incontro
Nella copiosa ripetizione del termine Made in Italy sembra che sia proprio questo e in modo evidente l’argomento cardine dell’incontro. In realtà si cerca principalmente di enfatizzare la pizza napoletana come congiunzione tra innovazione e tradizione, artigianalità e rispetto per la materia prima, oltre che della filiera corta in quanto tale sicura e trasparente. Nulla di strano ad un salone che si chiama TuttoPizza, eppure una domanda sorge spontanea: qual è il valore aggiunto delle denominazioni?
Non siamo stati gli unici a porci questa domanda, dato che anche il prof. Cicia, uno dei relatori, ha messo in discussione il valore della denominazione STG – Specialità Tradizionale Gastronomica – esponendola come presidio di tutela ma anche come il rischio di restare incastrati in un copione scritto sulle modalità di fare la pizza. Infatti, il disciplinare della pizza napoletana STG prevede una ricetta ben precisa, che include anche la grammatura ed il diametro della pizza da servire. Mentre il prof. Borrelli ha messo in evidenza la pizza come potenziale veicolo di prodotti certificati da una DOP o IGP.

Una specifica sul Made in Italy
Il significato di Made in Italy resta, però, uno sparuto fantasma sullo sfondo di tanti discorsi, e così decidiamo di chiedere, consapevoli del suo vero valore in Unione Europea: il Made in (Italy, oppure qualunque altro paese) ha l’obiettivo di definire i dazi a cui sarà sottoposto un prodotto (alimentare o di altre categorie merceologiche). Questo avviene perché nei commerci in territorio comunitario, per garantire la libera circolazione delle merci, non è previsto il pagamento di dazi. Dunque una definizione del tutto burocratica: Made in Italy, ad esempio, potrà essere denominato tutto ciò che è stato lavorato (non necessariamente prodotto) interamente in Italia, o quei prodotti dei quali sia stato effettuato nello stesso paese un ultimo processo determinante ai fini delle caratteristiche del prodotto che può essere anche solo, ad esempio, il confezionamento. Una certa differenza rispetto a DOP e IGP, certificazioni che cercano di rafforzare il rapporto territorio di provenienza- prodotto finale.

Risposte e domande sul Made in Italy
Eppure le motivazioni per cui quel marchio fosse così tanto presente sembrano essere di “natura identitaria”, oppure viene risposto anche che “non dobbiamo attaccarci agli slogan”, cosa che sembra abbastanza strana dopo che per un’ora si è reiterato il concetto dell’importanza delle denominazioni e dei suoi disciplinari.
Senza intenzione alcuna di sminuire la professionalità e la competenza dei docenti presenti, giungiamo al punto, che emerge da questo convegno come sintomo di un’intera filiera che si regge sullo stesso misunderstanding: posto che il Made in Italy venga usato più spesso per rivendicare l’identità di un prodotto piuttosto che una vera informazione al consumatore, non ci si sta in questo modo nascondendo dietro un concetto fuorviante e non lo specchio della realtà? E non volendosi fossilizzare sugli slogan, quindi, come possiamo interpretarlo dal momento in cui viene ripetuto molto più che spesso? Cosa tutela?
La filiera agroalimentare è ampia, diversificata, e risponde a bisogni geografici ed economici che vanno aldilà delle rassicurazioni identitarie. Questa, però, non è un’informazione da nascondere, anzi, un dovere di trasparenza per non correre il rischio di ottenere maggiore diffidenza quando l’idea del tutto in casa crollerà. Non si rischia di causare maggiore diffidenza anziché rassicurare, quando lo specchietto per le allodole cade in brandelli?