Il mercato dei prodotti gluten free è in costante aumento, alimentato non solo da celiaci ma anche dalla crescente fama di trend salutisti. Vediamo insieme cause, conseguenze ed alternative di queste scelte
Secondo il Ministero della salute gli italiani con diagnosi di celiachia sarebbero 250mila, ma se ne stimano tra i seicentomila e 1 milione. Di pari passo, aumenta il mercato dei prodotti gluten free ad un ritmo del 6% annuo. Secondo l’Associazione Italiana Celiachia ad oggi questo mercato vale 400 milioni di euro, ma potrebbe arrivare a 1.6 miliardi di euro entro il 2030.
Questi dati non hanno però la stessa matrice: il mercato del senza glutine non è alimentato solo da celiaci, intolleranti al glutine, pazienti con sensibilità al glutine o sindrome dell’intestino irritabile, le condizioni che rendono necessaria questo tipo di dieta. Molte persone comprano alimenti privi di glutine anche senza riscontrare problemi nella sua assunzione, spesso per seguire tendenze salutiste come quella del free from.
Sarà capitato a tutti di leggere di prodotti “senza uova”, “senza zucchero”, “senza grassi” e ogni altro tipo di “senza”, il glutine non è sfuggito a questo trend, secondo il quale eliminare determinati ingredienti o nutrienti renda i pasti più salutari.
In linea con l’attenzione a particolari diete attente alla salute, le persone sono sempre più attente agli effetti del glutine sul proprio benessere, e preferiscono acquistare prodotti gluten free sebbene, secondo una ricerca di Assoutenti e Crc, il prezzo di questi prodotti sembri essere più alto del 73% rispetto agli omologhi con glutine.
Gli effetti sulla salute
La rimozione totale del glutine per persone che non presentano particolari condizioni cliniche, però, può portare a carenze nutrizionali o a uno sbilanciamento della dieta su nutrienti che altrimenti non assumeremmo. Infatti, per riuscire ad ottenere un prodotto adeguato alla vendita, il glutine deve essere sostituito con ingredienti che apportano una maggiore percentuale di grassi e zuccheri, causando probabilmente anche un aumento di peso.
I legumi: naturalmente senza glutine
Diverso è il caso in cui si producono e mangiano alimenti naturalmente privi di glutine, senza il processo di deglutinizzazione. È questo il caso della pasta di legumi, come lenticchie, piselli e ceci, che garantisce un maggiore apporto proteico e di fibre. Questo tipo di prodotto riesce a rispondere a diverse necessità: quelle dei celiaci, dei vegetariani e dei vegani, e permette anche una diversificazione della dieta sia in termini gustativi che nutrizionali.

Non è un caso, infatti, se il mercato della pasta a base di legumi è in aumento. Marchi di pasta anche molto celebri hanno introdotto nelle proprie linee questi nuovi formati, arrivando ad un giro d’affari di 2,1 miliardi di euro e registrando un aumento di acquisti del 6,2% in un anno.
Le radici del fenomeno
Da dove nasce, però, la convinzione che il glutine faccia male e sia da evitare in ogni caso?
Le cause sono molteplici e vanno indietro nel tempo. Già dieci anni fa Beatrice Mautino e Dario Bressanini parlavano di questo fenomeno che ha avuto risonanza a partire da personaggi di fama internazionale come Gwyneth Paltrow, Russell Crowe e Victoria Beckham, che rendono note le loro diete gluten free, pur non essendo celiaci.Il marketing ha poi dato il suo aiuto: si è iniziato pubblicizzando prodotti senza glutine anche se non lo contenevano naturalmente, come le patatine in busta. Complice l’amplificazione immediata che i social network danno a considerazioni spesso non verificate e basate su esperienze personali, in questo caso, che il glutine faccia male.

Curiosità: il passato del senza glutine
Le abitudini alimentari sono soggette a mode, cambiamenti, tendenze di consumo legate al marketing e a vicissitudini storiche e geografiche. La storia del glutine non si sottrae a questi elementi: se oggi regna il trend del free from, la prima metà del ‘900 è stata caratterizzata dalla pastina glutinata, commercializzata per la prima volta dal marchio Buitoni. L’aggiunta di glutine veniva pubblicizzata come una garanzia di qualità, dovuta al maggior apporto proteico ed energetico in particolare per i bambini. Oggi, probabilmente, una pubblicità di questo tipo non sarebbe accettabile.