Alta Val D’Agri, gioiello enologico nascosto nel cuore della Basilicata.

C’è un piccolo gioiello enologico nascosto nel cuore della Basilicata. Un luogo circoscritto inserito in un contesto naturalistico di elevato pregio, che ha le sue espressioni maggiori nei siti di importanza comunitaria del monte Volturino, del Monte della Madonna di Viaggiano, del Lago Pertusillo e della Faggeta di Moliterno, dove la storia millenaria si intreccia con una tradizione vitivinicola che affonda le radici in epoche remote.

È l’Alta Val d’Agri, riconosciuta con una Doc dal 2003, dove il tempo si sedimenta nei filari e la storia si può bere in un calice di vino. La viticoltura in questa porzione di Lucania compresa tra i comuni di Viggiano, Grumento Nova e Moliterno è storia antica, che è non solo la base di un racconto identitario stratificato, ma si può toccare e vedere con mano partendo necessariamente dalla visita a Grumentum, oggi parco e museo archeologico, l’antica città lucano-sannita testimonianza tangibile di questa viticoltura pionieristica dove già nel I secolo a.C. si sperimentava la produzione del vino.

A tessere le fila di un racconto antico e complesso, quanto affascinante, ci ha pensato il CNR attraverso l’instancabile e appassionata attività di ricerca del professor Stefano Del Lungo che ha fornito al Consorzio Terre dell’Alta Val d’Agri – grazie al sostegno e al coordinamento dell’Alsia (Azienda Lucana di Sviluppo e Innovazione in Agricoltura) – le basi solide per una identità marcatamente territoriale che oggi è la prospettiva di ritorno all’autoctono sulla quale il consorzio, presieduto da Clorinda Pisani, sta imprimendo la spinta per il suo futuro. In questo laboratorio enologico a cielo aperto si stratificano secoli di storia agricola e viticoltura che a ritroso riportano fino agli Enotri e che parlano di una vocazione antica che ancora oggi vive tra i filari della Doc che vede all’attivo otto aziende.

Grazie al campo sperimentale dell’Alsia di Bosco Galdo, nato per la conservazione e catalogazione del germoplasma viticolo autoctono dell’intera Regione Basilicata, sono 42 i vitigni autoctoni censiti nel progetto Basivin Sud, sostenuto da Regione Basilicata, Alsia, Crea Ve e Cnr Ispc, 12 dei quali (tra cui la Malvasia Nera di Basilicata, la Giosana, la Iusana, e il Santa Sofia, la Ghiandara ovvero Aglianico Bianco, il Colatamurro e Plavina) sono oggi sperimentati per micro vinificazioni proprio dai produttori della Doc Terre dell’Alta Val D’Agri che vuole ripartire dalle tracce vinicole della storia agricola del territorio per ridare slancio al suo futuro produttivo. «Qui la sfida è duplicedichiara presidente della Doc, Clorinda Pisanida un lato riscoprire e valorizzare le varietà autoctone, dall’altro costruire una filiera viticola solida, innovativa e sostenibile. Il nostro patrimonio enologico è unico nel suo genere e oggi la storia del nostro territorio e i vitigni autoctoni diventano la forza per guardare al futuro con rinnovato entusiasmo».

La musica e le magliole delle viti

La Doc istituita nel 2003 è figlia di una base ampelografica ben circoscritta legata a varietà internazionali (Merlot, Cabernet e Chardonnay) frutto della vocazione dei musici girovaghi di Viggiano protagonisti di una grande migrazione culturale già dal XVIII secolo. La città di Viggiano – oggi luogo in cui risiede la maggior parte della produzione vinicola della Doc Terre dell’Alta Val D’Agri – era conosciuta come la città dell’arpa, e i musicisti girovaghi utilizzavano principalmente l’arpetta (arpicedda), uno strumento a corde di dimensioni ridotte, facile da trasportare. Erano artisti che si spostavano per diverse regioni suonando strumenti musicali ma anche emigrando verso altre nazioni come Francia, Inghilterra e persino Australia e Americhe, per poi tornare con i guadagni. Si deve probabilmente a loro l’introduzione in territorio lucano delle magliole (in agraria talea di vite) delle viti che erano all’origine dei vini che più ne avevano solleticato curiosità e palato. Poi però il progetto Basivin Sud ha permesso di aprire un focus sulle varietà autoctone che trovano riscontro nella storia del passato oggi riconoscibile anche nei palmenti che insistono nella zona di Grumentum, scolpiti nella pietra e ancora testimoni di una continuità agricola che unisce il passato al presente.

Alta Val d’Agri, modello di sviluppo territoriale integrato

Oggi con oltre 45 ettari vitati, anche in regime biologico, e circa 3.000 quintali di vino all’anno, l’Alta Val d’Agri si propone come modello di sviluppo territoriale integrato, dove la ricerca scientifica si intreccia con la tradizione agricola e una storia enologica che ha rivelato un patrimonio genetico di valore nazionale. Basti pensare che sono state riconosciute qui le origini del Pinot, capostipite delle varietà internazionali, prima di compiere tra la fine del VI e gli inizi del V secoldo a.c. il viaggio che lo porterà in Gallia entro i confini della colonia greca dell’attuale Marsiglia, gemella della città di Velia nel Cilento. Cosi come prima di lasciare le coste della Magna Graecia ha avuto indirettamente parte nella selezione del Syrah un vitigno di questo territorio che, mettendo a confronto dati genetici, archeologici e storici mantiene persino nel nome una identità Sirica, ossia una varietà della Siritide e che nell’Aglianico ha uno dei suoi parenti più stretti.

La Patagonia lucana

La viticoltura in Basilicata è dunque una scienza antica. Lo provano le radici che sono databili intorno ai primi secoli del I millennio a.c. e che ha il cuore in una delle valli fluviali più feritili della regione. L’Agri è infatti la via seguita sino alla fine del VI secolo dai mercanti di Siria, e poi di Sibari, per raggiungere le coste tirreniche dal Laos al Sele attraverso il Cilento, trasformando le popolazioni indigene in intermediari per la diffusione di prodotti di lusso e di conoscenze, anche nel campo della viticoltura. L’antica Paestum, il Vulture, la Val d’Agri e le colonie greche sullo Ionio costituiscono alcuni degli areali collegati tra di loro in cui si concentrano gli esperimenti di selezione delle viti più interessanti della storia remota. Inoltre che la Val d’Agri sia una zona tra le più pregiate per la viticoltura lo affermano anche i ricercatori del Crea di Arezzo e di Velletri che in un progetto di zonazione viticola finanziata dal comune di Viggiano scoprirono similitudini marcate tra quest’area di Basilicata e quella del Rio Negro in Argentina. Clima temperato, forti escursioni termiche tra il giorno e la notte, che favoriscono la concentrazione di sostanze benefiche nelle uve, conferendo ai vini un profilo aromatico intenso ed equilibrato. Il suolo, di medio impasto e ricco di minerali, che permette alle viti di sviluppare radici profonde, creando un legame indissolubile con la terra, tanto oggi, come nel passato glorioso che gli appartiene.

Un vero gioiello enologico pronto a candidarsi anche come destinazione enoturistica del Sud per la sua ricchezza di percorsi, siti culturali (come l’area rupestre di Santa Maria La Preta), gemme agroalimentari(su tutti il canestrato di Moliterno), tradizioni religiose (la Madonna del Sacro Monte) che ne impreziosiscono il racconto e che oggi sono la leva per costruire una nuova narrazione che ponga l’attenzione su questo spazio fertile e brillante di una Basilicata poco conosciuta, ma ricca di biodiversità e cultura enologica da far invidia ai grandi territori del vino.

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